Il 15 gennaio nell’impianto dell’ex Ilva sarà tutto fermo. Il segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, annuncia in una nota che l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, ha comunicato il piano di fermate degli altoforni: Afo2 il 12 dicembre, Afo4 il 30 dicembre e Afo1 il 15 gennaio, mentre verrà chiuso il treno a caldo tra il 26 e il 28 novembre per mancanza di ordini. “Se ancora non fosse chiaro, la situazione sta precipitando in un quadro sempre più drammatico che non consente ulteriori tatticismi della politica”, commenta il sindacalista. Nell’incontro odierno l’ad Morselli ha anche chiarito ai sindacati, come fanno sapere Fim, Fiom e Uilm, che “l’azienda rispetterà tutti gli impegni, a partire dal pagamento delle spettanze previste dal contratto di appalto”. Proprio oggi davanti al ministero dello Sviluppo economico a Roma si è tenuto un presidio dell’indotto dell’ex Ilva: i fornitori denunciano che ci sono fatture per milioni di euro non pagate da ArcelorMittal.

Dopo la comunicazione dei tempi della chiusura – che smentisce un rinvio a maggio – aumenta la preoccupazione dei sindacati alla vigilia del tavolo con l’azienda in programma venerdì al Mise alla presenza anche del ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli. Fim, Fiom e Uilm, si legge in un comunicato congiunto, hanno ribadito la propria contrarietà alla scelta assunta dalla multinazionale, ribadendo che “non può lasciare uno stabilimento spento senza il coinvolgimenti di Ilva in amministrazione straordinaria che, a tutt’oggi, risulta essere l’unico proprietario del gruppo attualmente in affitto ad ArcelorMittal”. Per il leader della Cgil, Maurizio Landini, “non ci sono le condizioni per recedere dal contratto, per noi ArcelorMittal deve applicare tutte le parti del contratto”, ha detto a Tagadà su La7. “Non voglio perdere neanche un posto di lavoro, non è una discussione accettabile quella sugli esuberi”, ha poi chiarito Landini. “Si deve continuare a produrre acciaio, garantendo la salute”, ha concluso.

“No ad atti unilaterali da parte di ArcelorMittal. Il governo rispetti e faccia rispettare gli accordi firmati nel 2018“, ribadisce anche la leader Fiom, Francesca Re David. Il cronoprogramma delle fermate degli altiforni renderà “diverso” l’incontro al Mise perché “configura la possibilità di dismissione dell’impianto di Taranto con ricadute drammatiche sul futuro ambientale e occupazionale e con ripercussioni su tutti gli stabilimenti del gruppo”. Parla anche il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo: “Non vorremmo che l’incontro di domani si trasformasse in una sorta di funerale annunciato dell’ex Ilva, il più grande impianto siderurgico d’Europa. Un incontro in cui ci saranno i mandanti, i carnefici e le vittime di un disastro economico e sociale dagli incalcolabili danni per Taranto, la Puglia e il nostro Paese. Noi non vogliamo arrenderci”.

“E’ chiaro che prima che il giudice stabilisca il diritto al recesso da parte di ArcelorMittal, in teoria non può andare dal portiere e lasciare le chiavi, deve rimanere a Taranto. Ma era una mia personale constatazione, l’ad non aveva il compito di parlarmi di questo ma aveva solo il compito di assicurarmi che il pagamento dell’indotto sarebbe avvenuto”, ha detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, parlando con i giornalisti a Bari, a margine del Consiglio regionale a proposito dell’incontro tenuto mercoledì con l’amministratore delegato. “Mi sono sempre permesso di consigliare a Mittal di studiare bene il diritto italiano, perché – ha aggiunto Emiliano – se si vuole rinegoziare l’accordo, il contratto, questa rinegoziazione non può avvenire con un atto che manca di rispetto al governo italiano che è appunto quello di annunciare il recesso ‘ad nutum’, in maniera secca”. Questa cosa, ha proseguito il governatore, “è stata un errore che mi auguro che Mittal comprenda, un errore di comunicazione e giuridico“.

Il presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, intervistato dal Corriere, sembra aprire uno spiraglio sulla possibilità di una cordata italiana che rilevi il siderurgico di Taranto, ma dice che “è una sfida difficile” perché tra l’altro “la stragrande maggioranza dei siderurgici italiani non produce con l’altoforno ma con forno elettrico” e mette molti paletti. A partire dallo scudo penale, che definisce “indispensabile“. Sullo sfondo, la richiesta alla Commissione europea di agire con più decisione per difendere un comparto in crisi anche a causa dei dazi di Trump e del forte aumento di importazioni dalla Cina. Il governatore della Toscana Enrico Rossi ha scritto a Bruxelles chiedendo di ridurre le quote di importazioni di acciaio libere da dazi per “proteggere un settore-chiave della nostra economia che ha un impatto importante sull’occupazione”.

“La riduzione delle quote libere da dazi non basta. Rivedere le misure di salvaguardia”Enrico Rossi, presidente della Regione che a Piombino ospita un altro importante stabilimento siderurgico rilevato l’anno scorso dal gruppo indiano Jindal – parte della cordata concorrente a quella di Arcelor nella gara per l’Ilva – ha inviato la sua lettera direttamente alla presidente eletta Ursula von der Leyen. Nella missiva, pubblicata dal Sole 24 Ore, il governatore Pd ricorda che “nel marzo 2018 gli Stati Uniti hanno deciso di imporre pesanti dazi all’importazione di prodotti in acciaio e alluminio” che incrementano del 25 per cento il prezzo dei prodotti siderurgici che entrano nel mercato americano. L’Ue ha “reagito a questa azione protezionistica con delle misure di salvaguardia sulle importazioni di determinati prodotti di acciaio che prevedono un sistema di quote che i paesi extraeuropei non possono eccedere, se non con un pagamento di un dazio del 25 per cento.

A febbraio 2019, la Commissione ha però aumentato del 5 per cento le quote iniziali e ha previsto di aumentarle di un altro 5 per cento a luglio 2019 e di un successivo 5 per cento a luglio 2020, nel rispetto delle regole del Wto che chiedono una liberalizzazione progressiva delle misure”. Vista la crisi di diversi settori come quello automobilistico, la Brexit e i costi dell’energia “il mercato europeo dell’acciaio è crollato”. Mentre le importazioni dall’Asia aumentavano. In risposta, “l’Ue ha recentemente rivisto le misure di salvaguardia riducendo dal 5 al 3 per cento l’aumento delle quote di importazioni libere da dazi a partire da luglio 2019″. Secondo Rossi però non è sufficiente: per “proteggere un settore chiave della nostra economia e con un impatto così importante sull’occupazione” sarebbe “opportuno rivedere le misure di salvaguardia e incentivare gli investimenti innovativi in questo settore”.

Presidio dell’indotto Ilva al ministero – Intanto si sono riuniti in presidio al ministero dello Sviluppo un centinaio di imprenditori, assessori e sindaci della provincia di Taranto preoccupati per il futuro dell’indotto. Al ministero si è svolto un incontro tra il ministro Stefano Patuanelli, i rappresentanti di Confindustria Taranto e quelli degli enti locali. “Consegniamo al ministro un documento che prevede una serie di punti tutti strettamente connessi al rientro dall’attuale esposizione di Arcelor Mittal nei confronti dell’indotto”, ha detto il presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro. Si tratta di un impegno “di oltre 200 milioni di euro (150 milioni dal 2015 e 50 dell’ultimo anno ndr). Se dovessero tardare ad arrivare potrebbero una condizione sociale gravissima – con mancato pagamento degli stipendi – testimoniata anche dai sindaci presenti”. Patuanelli e Confindustria Taranto avranno un nuovo vertice a stretto giro “per definire la questione economica ma anche per essere di supporto nel caso ci dovesse essere un reale disimpegno da parte di ArcelorMittal”, ha spiegato Marinaro.

Articolo Precedente

ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa: il colosso dell’acciaio è in fuga non solo da Taranto. “Il mercato si deteriora”

next
Articolo Successivo

Germania, Pil cresce dello 0,1% nel terzo trimestre: evitata la recessione tecnica

next