L’eliminazione dell’immunità penale ha un “impatto irrimediabilmente dirompente” sul contratto “perché, fra l’altro, comporta una modifica del Piano Ambientale” che “rende non più realizzabile il Piano industriale”. Quindi è “impossibile” rispettare le scadenze e “proseguire l’attività produttiva e gestire lo stabilimento di Taranto come previsto dal contratto, nel rispetto dell’applicabile normativa amministrativa e penale”. Con due paragrafi Am InvestCo Italy, il veicolo utilizzato da ArcelorMittal per l’acquisto, spiega il principale motivo dell’abbandono delle aziende dell’ex gruppo Ilva acquisite nel 2018. E se lo Stato dovesse fare muro, l’azienda si dice pronta ad aprire una causa per arrivare alla rescissione del contratto.

Le sei pagine ai commissari straordinari
Ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere il contenuto della lettera raccomandata spedita ai commissari straordinari Francesco Ardito, Antonio Lupo e Alessandro Danovi dall’amministratore delegato Lucia Morselli. Sei pagine nelle quali l’azienda illustra le ragioni per le quali si ritiene certa di poter restituire allo Stato le chiavi delle acciaierie e delle altre quattro società del gruppo (Ilva Servizi Marittimi, Ilvaform, Taranto Energia e Socova). Tutto ruota attorno all’immunità penale abolita, ma non mancano richiami allo spegnimento dell’altoforno 2, ordinato dalla magistratura negli scorsi mesi e per il quale è stata concessa la facoltà d’uso dando tempi per la messa in sicurezza che l’azienda giudica sostanzialmente impraticabili.

“Senza immunità non avremmo partecipato”
La premessa di ArcelorMittal è chiarissima: “Come previsto nell’Offerta Vincolante Definitiva e nell’articolo 25.9 del Contratto, la Protezione Legale costitutiva un presupposto essenziale su cui l’affittuario ha fatto esplicito affidamento – si legge nella lettera – e in mancanza del quale non avrebbe neppure accettato di partecipare all’operazione né, tantomeno, di instaurare il rapporto disciplinato dal contratto”. I nuovi proprietari delle acciaierie spiegano quindi che, a loro avviso, l’assenza dello scudo penale – che avrebbe dovuto essere reintrodotto nel decreto Salva-Imprese, ma è saltato grazie a un emendamento di 17 senatori M5s – ha un “impatto irrimediabilmente dirompente” perché, in sostanza, andrebbe a modificare il Piano ambientale rendendo inapplicabile il Piano industriale, già in sofferenza per la crisi del mercato dell’acciaio. Quindi la postilla: “Si applica conseguentemente l’articolo 27.5 del contratto”. Un comma sui “presupposti per il diritto di recesso” che nella versione del maggio 2018 non esisteva e quindi pare essere stato inserito in una delle due modifiche, datate 14 settembre 2018 o 20 marzo 2019, che non sono pubbliche.

“I responsabili si rifiutano di lavorare per i rischi”
Tra le conseguenze dell’abolizione dell’immunità penale, ArcelorMittal segnala anche che “numerosi responsabili operativi” dell’area a caldo di Taranto “hanno affermato che si sarebbero rifiutati di lavorarvi per non rischiare di incorrere in responsabilità penale”. Anche qui discenderebbe la “necessaria ed inevitabile” chiusura e quindi “interrompere la produzione” con “conseguente impossibilità sopravvenuta di eseguire il contratto”. Ed è lì che, secondo l’amministratore delegato Lucia Morselli punta davvero l’emendamento che ha soppresso la reintroduzione dello scudo “come confermano varie dichiarazioni rese da esponenti del potere legislativo ed esecutivo”.

“Consapevoli che si sarebbe giunti alla chiusura”
I vertici aziendali se la prendono anche con l’ordine del giorno – proposto dal Pd – approvato dalle commissioni riunite del Senato lo scorso 21 ottobre perché “mette in diretta ed esplicita relazione l’eliminazione della protezione legale con la richiesta al governo di garantire l’adozione di modalità produttive orientate alla decarbonizzazione”. Una “conferma inequivocabile”, secondo Morselli che era a capo della cordata perdente Acciaitalia e favorevole a una progressiva eliminazione del carbone dal ciclo produttivo, che la scelta di eliminare lo scudo penale “è stata effettuata nella piena consapevolezza ed inevitabile chiusura dell’area a caldo” di Taranto. “Appare del tutto evidente che si trovi di fronte al superamento per via legislativa del Piano Ambientale e del Piano Industriale che erano alla base dell’investimento”.

I problemi con l’altoforno 2 da risolvere in fretta
Ma l’immunità non è l’unico motivo del disimpegno di Arcelor. Grande rilevanza viene data anche alla possibilità che l’altoforno 2 non possa più marciare. A giugno il tribunale di Taranto aveva rigettato l’istanza di revoca del sequestro e conseguentemente la procura aveva ordinato lo spegnimento. Una misura parzialmente modificata dal Riesame a settembre che ha tra l’altro concesso la facoltà d’uso a patto che vengano eseguite le prescrizioni disposte nel settembre 2015 e mai portate a termine negli scorsi anni. Il tutto entro il 13 novembre o il 13 dicembre 2019. Secondo ArcelorMittal, però, gli organi competenti “non hanno confermato in alcun modo che la presentazione di progetti e cronoprogrammi” dei lavori entro quelle date “sia sufficiente” per rispettare l’ordinanza.

Senza quell’impianto “compromessa la sopravvivenza”
“Allo stato, quindi, Afo 2 (l’altoforno, nda) dovrebbe essere spento a causa di ‘anni di inadempimento colpevole’ all’obbligo di eseguire le prescrizioni da parte delle Concedenti”, accusa Morselli chiamando in causa l’amministrazione straordinaria. “Come avete ripetutamente rilevato e come confermato dal vostro consulente Rina nel ‘Piano d’intervento per l’impianto Afo2’ in data 10 agosto 2019, l’impossibilità di operare Afo2 – prosegue l’amministratore delegato – inciderebbe in ‘maniera decisiva sugli assetti complessivi del ciclo produttivo dello stabilimento di Taranto, compromettendone la stessa sopravvivenza’ e rendendo irrealizzabile il Piano industriale anche per questa ulteriore ragione”.

Le altre motivazioni e la possibile risoluzione per via “giudiziale”
Richiamando anche le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime per il sequestro di un molo del porto di Taranto, l’iter per la modifica dell’Aia, le “difficoltà” di accedere ai “livelli necessari” di ammortizzatori sociali che sono “indispensabili” per “mitigare i costi del lavoro” in fase di ammodernamento dell’impianto e vista la crisi del mercato, Arcelor lancia la stoccata finale: se l’amministrazione straordinaria non dovesse riprendersi le chiavi dello stabilimento, l’azienda chiederà la risoluzione del contratto per via “giudiziale” per i “gravi inadempimenti” delle concedenti e “per eccessiva onerosità della nostra prestazione”.

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