Vivere senz’auto o con meno auto è possibile, sostenibile e necessario, anche in un’ottica di giustizia sociale e ambientale. Lo pratico e lo testimonio da tempo, suscitando interesse ma anche tante critiche e resistenze! Ovvio. In uno dei Paesi più motorizzati del mondo, vivere senz’auto è un’eresia. Eppure il gruppo “Famiglie senz’auto” nato un po’ per gioco su Facebook nel 2015 è sempre più nutrito, attivo e propositivo. Il 2 novembre ci riuniremo per un’assemblea nazionale a Roma, alla Città dell’Altra Economia, in collaborazione con Salvaiciclisti e Movimento Decrescita Felice. Per l’occasione presenteremo anche il nostro primo libro Vivo senz’auto, Macroedizioni. Oltre a trattare la mobilità sostenibile in tutte le sue declinazioni (storiche, sociali, urbanistiche…) ho voluto dar voce a tutte quelle famiglie (e single) che hanno deciso di marciare/pedalare controcorrente.

Quello che chiediamo non è eliminare le auto dalla faccia della Terra. Vogliamo meno auto, che le strade siano soprattutto per bici, pedoni e mezzi pubblici, e quelle poche auto che siano elettriche e condivise. Abbiamo portato avanti petizioni (“treni e mezzi pubblici gratuiti per bambini e ragazzi”), la campagna “Strade scolastiche” per chiedere aree car free davanti alle scuole, abbiamo organizzato viaggi studio per visitare le città senz’auto: lo scorso anno a Friburgo (Germania), quest’anno in Svizzera.

Se all’estero, nei Paesi nordeuropei, vivere senza auto è una scelta normale e diffusa, in Italia siamo a 637 auto ogni mille abitanti (compresi bambini e anziani), quindi un’auto ogni patentato. In genere due o tre auto ogni famiglia. Berna, ad esempio, è al 56% di famiglie senz’auto, in crescita costante e conta all’incirca 20 zone residenziali senza auto. E il trend sembra dilagare.

Ma da noi cosa succede? Perché il mito dell’auto sembra incrollabile? Perché circa 3400 persone ogni anno muoiono ogni anno sulla strada? Perché inquinamento, riscaldamento globale, occupazione dello spazio sono accettati con menefreghismo e indifferenza? Forse davvero, come sostiene Franco La Cecla nella prefazione al libro di Colin Ward Dopo l’automobile (Elèuthera), “il sistema delle auto è penetrato nel fondo della nostra anima, diventando ovvio. Siamo talmente abituati alle auto che non riusciamo a vederle e a capire cosa ci fanno e cosa noi gli facciamo fare”.

Nel libro ripercorro la storia della motorizzazione inItalia. Dalla retorica nazifascista tutta tesa alla motorizzazione del Paese, alla Resistenza in bici, fino al disastro urbanistico (non solo in Italia) del Dopoguerra. Con il boom economico, le città furono letteralmente svendute alle auto, le piazze ridotte a parcheggi, le autostrade dentro alle città, sventrando interi quartieri. Fu il cosiddetto “disastro urbanistico”. In quasi tutte le città furono dismessi i tram.

Ma se nel Nord Europa la protesta contro le auto e contro la “strage dei bambini” cresceva, e si formava una solida coscienza critica, in Italia l’auto era vista come simbolo di riscatto dalla povertà e gli italiani ne erano sempre più attratti. Quei pochi che contestavano il dominio dell’auto erano politicamente “fatti fuori”, come testimonia la vicenda del sindaco di Siena, Fazio Fabbrini, riportata nel libro, che fu fatto dimettere a suon di clacson per aver portato la Ztl in piazza.

Fu così che a ritmi serrati l’Italia in pochi decenni raggiunse e superò i Paesi europei come tasso di auto procapite. Complice la pubblicità, che ancora oggi deve convincere la gente dell’importanza dell’auto e sulla quale le aziende automobilistiche spendono miliardi di dollari. E allora perché non cogliere questa provocazione e provare a vivere senz’auto? O almeno disfarsi della seconda auto? Approfittiamo del “bonus mobilità” del Decreto clima per rottamare le vecchie auto e non comprarne di nuove, usando il bonus per acquistare bici o abbonamento ai mezzi pubblici e bici.

Vi lascio con queste bellissime parole di Paolo Pileri nell’introduzione (urbanista e prof al Politecnico di Milano):

Senza auto cambia la forma delle case, delle strade, delle piazze,
dei centri storici, delle coste e delle montagne.
Cambia la forma del paesaggio.
Cambia il progetto di tempo libero.
Cambia l’idea di ambiente, natura e clima che ci si è appiccicata addosso.
Cambia il modo di incontrarsi per strada.
Cambia il modo di spiegare a un bambino come deve muoversi appena fuori casa.
Cambia l’orizzonte delle cose che possiamo chiedere e volere.
Cambiano le domande, i sogni e i colori.
Cambia l’agenda urbana. Cambiamo i doveri e i diritti.
E torna un po’ di felicità, smarrita nelle pieghe della fretta.

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