Una standing ovation. È in questo modo che i detenuti del carcere di massima sicurezza di Tolmezzo hanno accolto la sentenza della Cassazione che ha cancellato l’esistenza di Mafia capitale. È nel penitenziario in provincia di Udine, infatti, che è detenuto Salvatore Buzzi, uno degli imputati principali del processo annullato dalla Suprema corte. Un annullamento senza rinvio: un nuovo processo d’appello sarà celebrato soltanto per ricalcolare le pene. “La moglie del mio cliente mi ha riferito che la decisione è stata accolta da una standing ovation”, dice al fattoquotidiano.it l’avvocato Alessandro Diddi. Che si prepara a chiedere la scarcerazione del suo cliente. E libero a breve potrebbe tornare anche l’altro imputato principale del processo: Massimo Carminati.

Per la Cassazione, infatti, l’ex terrorista nero e l’ex ras delle cooperative fanno parte di due associazioni a delinquere diverse: Mafia capitale non era mafia, come avevano stabilito i giudici dell’appello. Ci vorrà dunque un nuovo processo di secondo grado, ma solo per ricalcolare le pene al ribasso: i 18 anni e 4 mesi di carcere inflitti a Buzzi saranno sicuramente scontati. E l’uomo delle coop, che in una famosa intercettazione diceva come i migranti rendessero più del traffico di droga, potrebbe essere scarcerato in attesa del verdetto definitivo.

La legge Spazzacorrotti ha escluso la possibilità di richiedere l’applicazione di misure alternative al carcere, come i domiciliari o l’affidamento in prova ai servizi sociali, per chi è condannato per reati di corruzione. Ma è applicabile, ovviamente, solo ai condannati definitivi: è per questo motivo che alcune ore dopo la pronuncia della sentenza della Cassazione, nove imputati sono stati arrestati e condotti in carcere. Nel caso di Buzzi, invece, potrebbe essere accordata la liberazione in attesa della ricalcolo della pena. E va considerato che l’ex re delle cooperative ha già scontato quasi cinque anni di carcere.

Buzzi, infatti, è in custodia cautelare dal 2 dicembre 2014 quando venne arrestato nel primo blitz di quella che allora venne ribattezzata “Operazione Mondo di mezzo”: il suo era uno dei primi nomi nell’elenco della procura di Roma. Adesso che la Suprema corte ha cancellato le accuse di mafia, il suo difensore è pronto a presentare una istanza di scarcerazione. “Lo farò la prossima settimana. Ma non ci sono automatismi perché questo non è un processo normale, dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza. Hanno giocato con una norma, il 416 bis, e con la vita delle persone. Sono soddisfatto perché sostenni la tesi sigillata ieri dalla Cassazione già davanti ai giudici del Tribunale del Riesame”, spiega l’avvocato Diddi. Ma il tribunale della Libertà come del resto gli stessi ermellini, in fase cautelare, confermarono la misura. “Spero che adesso vengano trattati come imputati normali”, dice il legale.

Romano, 64 anni il prossimo 15 novembre, già condannato per omicidio, poi divenuto detenuto modello e graziato da Oscar Luigi Scalfaro, Buzzi era diventato il fiore all’occhiello della cooperazione sociale nella capitale. Almeno fin all’arresto del 2 dicembre 2014. In una illuminante intercettazione, per spiegare perché dovevano essere pagati i politici, il ras delle coop diceva: “La mucca se non mangia non può essere munta”. “Un sistema di corruzione spaventoso a tutti i livelli – ha ribadito in più occasioni Diddi – dal Comune alla Regione al Parlamento. Un sistema marcio e corrotto. Ma la Procura non ha voluto aprire questo sistema, non l’ha voluto guardare”. Dalla raccolta e smaltimento dei rifiuti all’accoglienza dei profughi fino alla manutenzione del verde pubblico, il ras della coop ’29 giugno’ si vantava: “Pago tutti. Finanzio giornali, faccio pubblicità, finanzio eventi, pago segretaria, pago cena, pago manifesti; questo è il momento che paghi di più perché stanno le elezioni comunali”. Di quasi tutti quei pagamenti è stata trovata traccia scritta nel ‘libro nero’ della contabilità parallela, nascosto a casa delle segretaria.

Carminati, invece, in appello invece era stato condannato a 14 anni e mezzo: al momento è detenuto nel carcere di Sassari in regime di 41 bis. Queste però sono le ultime ore al carcere duro per l’ex terrorista nero. “Ci aspettiamo che venga immediatamente revocato il 41bis, ovvero il regime di carcere duro, se ciò non dovesse accadere siamo pronti a fare istanza”, dice l’avvocato Cesare Placanica. “In queste ore – aggiunge il penalista – stiamo valutando anche di presentare una istanza di scarcerazione nell’attesa che la corte d’Appello di Roma ridetermini la pena”. E sarà una condanna molto più lieve, come dice lo stesso avvocato in una intervista al Corriere della Sera: “Tanti reati sono stati annullati senza rinvio, per altri andrà ricalcolata la pena ed è verosimile che il conteggio finale si riduca di due terzi circa: non escludo quindi che Carminati possa aver già scontato per intero la sua pena e che quindi sia possibile chiederne la scarcerazione“. Intanto verrà chiesta la revoca del carcere duro. Ed è per questo che ieri la moglie del Cecato, Alessia Marini, mentre il presidente della corte Giorgio Fidelbo leggeva il dispositivo, ha esclamato: “Ho fatto la scelta giusta, mi riporto mio marito a casa“. Meno ottimista l’altro avvocato di Carminati, Francesco Tagliaferri che interpellato al fattoquotidiano.it spiega: “La pena va rivista e ci dovrà essere il ricalcolo. Ma faccio presente che l’istanza dovrà essere presentata alla Corte d’appello. E quei giudici avevano invece sostenuto come provato il 416 bis. Mi sembra prematuro parlare di maxi sconto”. L’avvocato racconta come Carminati sperasse fortemente in un annullamento della sentenza di mafiosità.

Cresciuto nei Nuclei armati rivoluzionari negli anni ’70, in contatto con vari esponenti della Banda della Magliana. Carminati oggi ha 61 anni: per la procura di Roma era il “capo dell’associazione di stampo mafioso operante su Roma e sul Lazio”. Soprannominato il Cecato, il Guercio o il Samurai, Carminati è l’uomo che ha ispirato il Nero di Romanzo criminale: per la procura di Roma era il boss di Mafia capitale. Una tesi bocciata dagli ermellini. “È la teoria del mondo di mezzo compà. Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. E allora vuol dire che ci sta un mondo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano… come è possibile… che ne so… che un domani io posso stare a cena con Berlusconi”, è il modo con cui Carminati definiva la sua organizzazione. Un’intercettazione che ha dato il nome all’operazione. Processato e assolto per l’omicidio di Mino Pecorelli, per il depistaggio della strage di Bologna e per l’assassinio di due ragazzi di estrema sinistra, Carminati è stato condannato in passato per rapina, detenzione illegale di armi e munizioni, porto illegale di armi. Si è sempre salvato grazie all’indulto. E – dicono i maligni – anche grazie al bottino del furto al caveau della cittadella giudiziaria di Roma. Fu un maxi colpo quello nel bunker di piazzale Clodio nel luglio 1999: “In quel caveau è vero che c’erano molti documenti ma tra un documento e l’altro ho preso anche qualche soldo. Solo i carabinieri fanno finta di non capire da dove ho ricavato la mia disponibilità economica”, ha raccontato lui stesso in aula durante il maxi processo. Tra le vittime del furto di Carminati c’erano anche molti magistrati.

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