Al massimo era Corruzione capitale. Per la Cassazione a Roma non c’era mafia. O meglio, non era mafia quella di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. La Suprema corte ha infatti dichiarato esclusa l’associazione mafiosa nel processo “mondo di mezzo“, la maxi operazione poi ribattezzata Mafia capitale proprio per la contestazione dell’associazione di stampo mafioso a molti degli imputati. Un reato escluso dal primo grado e poi riconosciuto dalla sentenza d’appello. Adesso, però, è arrivato l’annullamento dei Supremi giudici che hanno fatto cadere anche molte delle accuse contestate a Buzzi e Carminati. Ed è un annullamento senza rinvio: i giudici della Cassazione, infatti, che con la sentenza di questa sera non hanno riconosciuto il 416 bis, riqualificando l’associazione mafiosa in associazione a delinquere semplice. Si celebrerà un nuovo processo d’Appello, ma solo per la rideterminazione della pena in relazione all’associazione a delinquere semplice contestata solo ad alcuni dei 32 imputati. Tra questi ultimi anche Buzzi e Carminati. Inoltre, per quanto riguarda Buzzi, la Cassazione lo ha assolto da due delle accuse contestategli, di turbativa d’asta e corruzione, mentre per Carminati cade anche un’accusa di intestazione fittizia di beni.

Bisognerà attendere il deposito delle motivazioni per capire il ragionamento seguito dalla corte. L’impressione è che, come aveva già stabilito la sentenza di primo grado, anche la Cassazione non ha riconosciuto i reati di mafia ma la presenza di due distinte associazioni ‘semplici’: quella di Buzzi e quella di Carminati. “Riqualificati i reati di cui ai capi 1 e 22 ai sensi dell’art. 416 codice penale e ritenuta la sussistenza di due associazioni“, si legge infatti nel dispositivo della sentenza, la Cassazione annulla le condanne “limitatamente al trattamento sanzionatorio per i reati associativi come riqualificati”.

Raggi: “Pagina buia per la città” – La sentenza è stata emessa dai giudici della VI sezione penale, presieduta da Giorgio Fidelbo. Dopo tre giorni di udienze cominciate con la requisitoria dei tre sostituti procuratori generali Luigi Birritteri, Luigi Orsi e Mariella De Masellis, che avevano chiesto di confermare le condanne dell’Appello, e finite con le arringhe dei difensori, gli ermellini si erano ritirati in camera di consiglio venerdì scorso. In aula per la lettura della sentenza c’era anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi, e il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra. “Oggi è una giornata storica per Roma. Siamo in Cassazione per attendere la sentenza su Mafia Capitale. Oggi si chiude una vicenda che ha ferito la città. Noi siamo qui, a testa alta, per tutti i cittadini onesti che insieme a noi combattono per la legalità e contro il malaffare”, ha twittato la prima cittadina della Capitale poco prima della sentenza. Completamente diverso il tenore della dichiarazione della sindaca dopo la pronuncia della decisione dei giudici: “Questa sentenza conferma comunque il sodalizio criminale. È stata scritta una pagina molto buia della storia di questa città. Lavoriamo insieme ai romani per risorgere dalle macerie che ci hanno lasciato, seguendo un percorso di legalità e diritti. Una cosa voglio dire ai cittadini onesti: andiamo avanti a testa alta”. Esultano gli avvocati difensori: “Queste è la sconfitta del modo di fare i processi di Pignatone e del Ros di Roma”, ha detto l’avvocato Giosuè Naso, difensore di Riccardo Brugia e Massimo Carminati. “Roma è liberata dalla mafia. E’ stata scritta una pagina finalmente chiara. Credo che il tempo mi abbia dato ragione. Soprattutto questo collegio che nessuno potrà mai delegittimare. La vita di Buzzi da questo momento e cambiata, potrà guardare al suo futuro”, sono invece le parole di Alessandro Diddi, difensore di Buzzi.

“Mafia capitale esiste, era guidata da Buzzi e Carminati” – Il processo ruotava intorno al 416bis, l’articolo del codice che disciplina l’associazione a delinquere di stampo mafioso: contestato dall’accusa, era caduto in primo grado ma era stato riconosciuto dai giudici in Appello. Al vaglio dei Supremi giudici c’era la posizione di 32 imputati, tra i quali alcuni condannati in secondo grado a vario titolo per reati di mafia. La sentenza è arrivata a cinque anni dall’operazione che con due retate, il 2 dicembre 2014 e il 4 giugno 2015, ha portato all’arresto rispettivamente di 37 e 44 persone. Nella sua requisitoria, il pg Birritteri ha sottolineato come il gruppo di Carminati e Buzzi avesse “tutte le caratteristiche dell’associazione mafiosa e rientri perfettamente nel paradigma del 416 bis”. L’ex terrorista nero, il ras delle cooperative e i loro collaboratori per l’accusa si muovevano “con un nuovo sistema anche con metodi criminali solitamente non violenti nei rapporti con la pubblica amministrazione perché in quel contesto bastava corrompere”. Usavano la violenza quando era necessario e grazie alla corruzione gestivano il potere politico con fini criminali, sostieneva sempre la pubblica accusa. Per questo motivo il pg aveva chiesto la conferma di tutte le condanne, tranne quella del benzinaio di Corso Francia Roberto Lacopo, condannato a 8 anni in appello, per il quale era stato chiesto un nuovo processo. Per l’ex amministratore delegato di Ama Franco Panzironi, condannato in appello a 8 anni e 7 mesi, la procura generale ha chiesto la conferma della pena ma con riqualificazione del reato: da concorso esterno alla partecipazione piena all’associazione mafiosa. Che però per la Suprema corte a Roma non esisteva.

Il mondo di mezzo – La sentenza di oggi mette la parola fine a quella che è probabilmente l’inchiesta principale della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone. Con l’operazione Mondo di Mezzo gli investigatori aveva ricostruito un’organizzazione criminale attiva negli ultimi anni nella capitale : un gruppo di personaggi con un passato da Romanzo criminale e un presente nei palazzi che contano, capace di infiltrarsi e fare business nella gestione dei centri accoglienza per immigrati e dei campi nomadi, di finanziare cene e campagne elettorali con una filosofia ben precisa. “È la teoria del mondo di mezzo compà. Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. E allora vuol dire che ci sta un mondo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano… come è possibile… che ne so… che un domani io posso stare a cena con Berlusconi”, teorizzava Massimo Carminati. Un’intercettazione che diede il nome alle indagini degli investigatori.

L’ex nero e il re delle coop – Ex terrorista di estrema destra con i Nar, noto per i suoi rapporti con la Banda della Magliana, il Cecato aveva fatto parlare di sé per l’ultima volta nell’estate del 1999 ai tempi del maxi furto al caveau della cittadella giudiziaria di piazzale Clodio. Poi nel 2014 era tornato sulle prime magine di tutti i giornali, quando era finito in cima alla lista delle persone arrestate su richiesta della procura guidata da Pignatone, già al vertice degli uffici inquirenti a Palermo e Reggio Calabria. Con lui, al vertice dell’organizzazione criminale attiva a Roma, gli inquirenti indicavano Buzzi, già condannato per omicidio, poi graziato e diventato il ras delle cooperative rosse che facevano affari con gli enti pubblici. In Appello Carminati aveva incassato una condanna per mafia ma anche uno sconto di pena: per lui la pena è scesa da 20 anni a 14 anni e sei mesi. Per Buzzi la condanna in secondo grado era passata da 19 anni a 18 e 4 mesi. La riduzione della pena era arrivata dall’esclusione del riconoscimento della continuazione interna per gli episodi di corruzione. Adesso Buzzi e Carminati, insieme ad altri 15 imputati, saranno nuovamente processati in appello: il processo, però, servirà solo ricalcolare l’entità delle condanne e non il reato.

La storia del Maxiprocesso – In attesa delle motivazioni degli ermellini, si può ipotizzare che la Suprema corte abbia seguito lo schema dei giudici della corte d’Assise. Secondo i giudici del primo grado a Roma c’erano“due diversi gruppi criminali“, uno che faceva capo a Buzzi e un altro a Carminati, ma nessuna mafia,. Una forma di criminalità organizzata né “autonoma” né “derivata” perché di fatto, secondo i giudici, era assente quella violenza, quella intimidazione che caratterizza le organizzazioni criminali punite con l’articolo 416 bis. E né la corruzione, per quanto pervasiva, sistematica e capace di arrivare fino al cuore della politica, poteva essere considerata alla stregua della forza intimidatrice tipica delle mafie. L’appello aveva ribaltato quella sentenza. Ora arriva la Cassazione: non era mafia Capitale. Solo corruzione.

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