Sembra una buona iniziativa quella del carcere di Bologna di creare una sala cinematografica aperta anche agli esterni. Se, in ossequio al dettato costituzionale, la pena deve tendere alla rieducazione e al reinserimento dei condannati, l’abbattimento o almeno l’incrinatura di barriere fisiche, mentali o psicologiche, oltre che sociali, non può che avere effetti benefici; questo vale sia per detenuti e operatori penitenziari, sia per gli esterni che eventualmente hanno l’opportunità di entrare in contatto con questa realtà del tutto particolare.

C’è sempre stato un rapporto molto stretto tra cinema e carcere: la privazione della libertà deve essere in qualche modo “spettacolare” e da sempre ispira autori e cinefili. È dimostrato da pietre miliari della cinematografia mondiale come Papillon o Fuga da Alcatraz, per giungere al pluripremiato Cesare deve morire, più recente e soprattutto a noi più vicino, visto che è stato girato a Rebibbia negli stessi spazi dove si svolgono le nostre attività scolastiche e parascolastiche, con protagonisti molti studenti e ex studenti dei nostri corsi.

Anche Matteo Garrone con Dogman ha pescato nello stesso ambiente, non solo in senso metaforico come riferimenti “culturali”, ma con scene girate all’interno del penitenziario e con la fauna variegata che popola certi mondi di periferia.

A Rebibbia, in ogni caso, il rapporto tra cinema e carcere passa anche per canali più istituzionalizzati. La scorsa estate negli spazi del Nuovo Complesso si è svolto un corso del nostro Istituto scolastico “J. von Neumann” di San Basilio. In quelle giornate particolarmente calde, ancora di più per chi è costretto tra le mura di un carcere, un nutrito gruppo di giovani e meno giovani si è via via appassionato alla visione e al dibattito su film su importanti temi sociali con cui hanno potuto spaziare nel tempo, partendo da Il sorpasso di Dino Risi, del 1962, per giungere nel Canada del 2003 con le Invasioni barbariche di Denys Arcand, fino agli Stati Uniti dei giorni nostri con i documentari di Michael Moore.

Si è viaggiato con la fantasia, aiutati dalle immagini cinematografiche, attraverso Paesi e culture diverse: dal Giappone di Kore-eda alla foresta amazzonica ritratta da Salgado e Wenders ne Il Sale della terra; dall’Iran di Una separazione al Pakistan, la Siria, la Turchia fino all’Europa, dove cercano una speranza di sopravvivenza i protagonisti di Cose dell’altro mondo di Michael Winterbottom, proiettato tra ragazzi realmente giunti in Italia come clandestini, dopo viaggi pieni di peripezie, posti a condividere i banchi con un georgiano che sta scontando la pena proprio per traffico di esseri umani, avendo fatto da scafista tra Turchia e Grecia.

La sera, novità di quest’anno del Nuovo Complesso di Rebibbia, alcuni detenuti selezionati potevano uscire nello spazio all’aperto del carcere dove normalmente si svolge l’ora d’aria, per rinfrancarsi un poco ed evadere, se non altro mentalmente, attraverso film più di intrattenimento, ma sempre di un certo spessore. In questi giorni, infine, parte l’atteso appuntamento annuale con il MedFilm Festival, con il suo ricco programma di cinema del Mediterraneo.

Il Premio Methexis viene ogni anno attribuito al miglior cortometraggio tra i venti della Selezione Ufficiale del Festival da una giuria formata da una nutrita rappresentanza dei detenuti dei quattro settori del complesso penitenziario di Rebibbia (femminile, reclusione, terza casa e Nuovo Complesso) e dai giovani studenti delle principali scuole di cinema di alcuni Paesi europei.

I ragazzi di Rebibbia, per ora separatamente, sono in questi giorni impegnati a visionare i cortometraggi pervenuti da tutti i Paesi che si affacciano sul mare nostrum. Insieme alle educatrici e agli insegnanti vedono i film, esprimono pareri, si confrontano tra loro su contenuti e stile delle opere. Capita spesso che alcuni di loro provengano da Paesi in cui sono girati i film e dove magari non tornano da molto tempo. I racconti personali si mescolano allora alle immagini cinematografiche.

Alla fine tutti, uomini e donne, giovani e meno giovani, liberi e detenuti, studenti o meno, si incontreranno in una riunione plenaria (presso la Casa di reclusione) in cui ci si confronta, si partecipa e discute animatamente, all’insegna del desiderio di conoscersi e scambiarsi un po’ di vita, attraverso il cinema e le sensazioni che è in grado di suscitare.

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