Svegliarsi in una mattina di pioggia autunnale, sentire i clacson delle macchine incolonnate, le sirene delle ambulanze. Seguire il ritmo ipnotico dei tergicristalli, immaginare i volti degli automobilisti – volti sospesi, in attesa, congestionati, con i sogni che colano dalle orecchie come una melassa velenosa. Svegliarsi nel proprio letto disfatto, protetto da un pigiama anarcochic, con a fianco i racconti meravigliosi di John Cheever, sentire una profonda gratitudine verso tutti: lavorate, continuate a lavorare, non fermatevi mai.

Non avere il cappio di una moglie, di una famiglia e di un lavoro: libertà. Come unica responsabilità questa: fare di tutto per scovare nel quotidiano un rubino di stupore sfuggente. Questa è la migliore delle società possibili, almeno per me. Quando esco di casa c’è sempre qualcuno pronto a darmi del pane caldo, un cappuccino e un cornetto ai cereali, miele e zenzero. Che cosa potrei volere di più da una mattina di ottobre?

Il traffico è musica per le mie orecchie, come se Mozart uscisse dai tubi di scappamento. Non dipendere da nessuno, tranne che dalla propria madre, un cordone ombelicale teso sulla follia isterica della società moderna. E farsi nido di ogni mistero in fuga. Cogliere enigmi e lasciare agli altri le settimane enigmistiche. Sgomitano, si azzuffano, sbraitano nel traffico; altri si sottomettono con placida arrendevolezza.

Il cuore è una pompa cardiaca che li sospinge nelle fauci del Leviatano meccanico: alcuni si lamentano, magari protestano, ma alla fine sono grati al Sistema che li sterilizza. Hanno una vita a scatti, a singhiozzo, e questo labirinto di schegge è il pane quotidiano di una frantumazione narcotica. Il pericolo dell’infinito è bandito per sempre. Guai a rendersi conto che la vita è un ammasso gratuito di sterpi e densità abissali.

Non saprebbero dove sbattere la testa: per questo lavorano, procreano e crepano, senza tingere l’ignoto con il sale delle ferite, preferendo la minestra brodosa e scipita di una vita a rate. Questi lavoratori, questi santi lavoratori che io venero con ogni fibra del mio essere orizzontale, sopra la panna montata dei miei cuscini. Continuate a lavorare, ve ne prego, non mollate, lottate sempre. Ricky è con voi, vicino a voi. Con il suo spirito.

Scenderò in piazza con voi, se necessario. Mi batterò per i vostri diritti contro la prepotenza e l’ingiustizia economica e sociale; purché voi siate felici di lavorare, quantomeno sereni, consapevoli, con rinnovata fiducia verso il futuro, affinché io possa continuare a dileggiarvi e a nutrirmi di cornetti ai cereali, miele e zenzero. E quando finalmente andrete in pensione (e vi auguro la pensione più giusta di questo mondo) vi troverete faccia a faccia con la verità, la mia verità, e mi amerete.

Scoprirete che la vita è poco più di questo: una sbavatura fosforescente sui bordi liquidi del nulla. Ma tranquilli, ci saranno i nipotini a distrarvi e il tempo libero a uccidervi.

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