Venerdì scorso ho partecipato alla manifestazione per il clima e ho potuto apprezzare il grande successo del messaggio ambientalista di Greta Thunberg. Greta dice cose importanti con l’immediatezza e il coraggio degli adolescenti: è difficile non essere d’accordo con lei. Tuttavia il messaggio ha multiple implicazioni e significati, probabilmente non tutti intenzionali, e suscita nel pubblico sentimenti contrastanti che richiedono analisi.

Greta è una contestatrice: critica il nostro modello di sviluppo, l’industria, la finanza, la politica. Ai giovani piace per questa sua dimensione di Davide contro Golia. Inoltre non ci sono dubbi che il riscaldamento globale, l’inquinamento e il consumo di risorse non rinnovabili siano problemi gravissimi. Però Greta non lancia il suo allarme sulla base di misure effettuate da lei stessa: prende le sue informazioni da scienziati e da divulgatori della scienza.

Contesta il modello di sviluppo economico della società, non la comunità scientifica della quale abbraccia, e invita ad abbracciare, la posizione di maggioranza. Greta implicitamente dice che responsabilità significa riconoscere i punti di vista della scienza, dell’industria, della finanza e scegliere da che parte stare. Ed entra in conflitto con una propaganda populistica che vorrebbe identificare come casta e riunire insieme tutte le parti che non corrispondono al “popolo“: come se il popolo fosse un’entità unica e omogenea, anziché un insieme di persone che si riconoscono in parti sociali diverse.

Io credo che molti di quelli che contestano “da sinistra” la persona e il messaggio di Greta Thunberg lo facciano perché vorrebbero poter essere contro tutte le parti sociali diverse dalla propria: contro l’industria e la finanza, ma anche contro scienziati e baroni. Essere “né di destra né di sinistra”. Per queste persone il modello di cultura ecologica è Vandana Shiva piuttosto che Greta Thunberg e non c’è dubbio che le due donne siano tra loro antitetiche, anche se possono occasionalmente aver espresso critiche simili nei confronti di alcune iniziative dell’industria agroalimentare.

Greta con l’ingenuo ardore degli adolescenti rifiuta il compromesso. Il suo messaggio ha anche contenuti e forme violentemente critiche e questo le attira altre antipatie, questa volta “da destra”. Il modello di sviluppo che lei contesta è in crisi e tende a esaurire le risorse del pianeta: ma uscirne non è facile né passa per strade ovvie. D’altra parte questo modello di sviluppo ha prodotto il tessuto stesso della nostra civiltà: farmaci, salute, cultura, assistenza degli anziani, etc. Di fatto, consumo energetico e inquinamento sono finora aumentati di pari passo con l’aspettativa di vita, coi diritti, con l’alfabetizzazione.

Le disuguaglianze nell’accesso alle risorse vanificano in parte questi effetti e certamente sarebbe possibile far aumentare l’aspettativa di vita media della popolazione mondiale, agendo sulla redistribuzione delle risorse piuttosto che sull’incremento della loro produzione: il primo mondo perderebbe poco rispetto a ciò che il terzo mondo guadagnerebbe. Per queste ragioni Massimo Cacciari ha sostenuto che sarebbe meglio per Greta e per tutti invitare nelle scuole gli scienziati del clima come quelli della finanza a spiegare la complessità del sistema. Purtroppo per Cacciari, l‘influencer è Greta, non gli scienziati, come sarebbe preferibile: i giovani ascoltano lei e non loro.

Greta è critica nei confronti della politica in generale, che ritiene asservita agli interessi dell’industria e della finanza, e su questo sbaglia: la politica, come il popolo che la vota, non è monolitica. Ad esempio Barack Obama ha ridotto le emissioni di CO2, il principale gas serra di origine antropica, mentre Donald Trump le sta aumentando. Poiché una delle ragioni del successo di Trump sta nei costi sociali delle politiche in favore dell’ecologia di Obama, soprattutto negli stati della cosiddetta rust belt, c’è un contrasto non solo tra Obama e Trump, ma anche tra le ragioni dell’ecologia e quelle socioeconomiche. Questo contrasto richiede una complessa mediazione, ben diversa dall’intransigenza adolescenziale.

Greta propone modelli di comportamento semplicisti, ma generalizzabili. Preferire il treno all’aereo o ridurre l’uso della plastica sono comportamenti che nei limiti della ragionevolezza tutti potremmo e dovremmo attuare. Quando però il contestatore propone un modello di comportamento che applica a se stesso oltre che ai contestati, crea un certo imbarazzo nei suoi seguaci: il suo messaggio si trasforma da “è colpa degli altri”, a “è colpa degli altri, ma anche nostra”.

Un’altra ragione profonda di coloro a cui Greta non piace è che è facile chiedere che siano vietate le cose che noi non facciamo, difficile chiedere che siano vietate quelle che noi facciamo: non è la stessa cosa rinunciare alla Mercedes (che non ho) o al motorino (che ho) in favore della bicicletta. La generazione dell’Erasmus non contesta Ryanair e EasyJet.

Sono apparse sulla stampa nazionale e straniera critiche che sostengono che Greta goda del sostegno di esperti della comunicazione. Non ci sarebbe nulla di strano: questo avviene per tutte le persone che vantano un seguito consistente. Costruire un influencer che ha seguito su interi continenti non è facile: richiede il giusto frontman o frontwoman, il lavoro di un’abile squadra di comunicatori e molta fortuna.

E’ probabile che queste condizioni si siano verificate anche nel caso di Greta Thunberg ed è un bene per tutti che, nonostante alcuni aspetti criticabili, il messaggio di Greta sia valido: centra un problema gravissimo, il riscaldamento globale, dà l’indicazione giusta (seguire le indicazioni degli scienziati), sensibilizza un pubblico vasto. Quindi, seppure con qualche cautela, viva Greta Thunberg!

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