“Guarda come si è combinata che l’ho messa al sole… troppo si fa però”. “Si è fatta, si è impastata”. Così il narcotrafficante parla di droga e lo fa con il figlio di 8 anni rendendolo partecipe di tutti gli aspetti delle sue attività illecite. “Cattiva strada” è il nome che i carabinieri hanno dato all’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del pm Adriana Sciglio.

Otto persone in carcere e cinque ai domiciliari. Il coinvolgimento del bambino è sicuramente l’aspetto più importante dell’operazione che ha disarticolato un gruppo criminale operante tra Gioia Tauro e Rosarno da dove gestiva un vasto traffico di cocaina e marijuana. In manette quindi è finito l’uomo, 46 anni, di cui non scriviamo il nome a tutela del minore e ritenuto dagli inquirenti il capo dell’organizzazione. Il gip ha disposto il carcere anche per Giuseppe Cacciola, Massimo Camelliti, Saverio Fortunato, Salvatore Lamonica, Massimiliano Mammoliti, Francesco Mazzitelli e Giovanni Sicari. Agli arresti domiciliari, invece, sono finiti Vicenzo Condello, Salvatore Bubba, Natale Giunta, Rocco Saraceno e Marianna Ranieri. Quest’ultima aveva il compito di assaggiare la droga prima che il gruppo del capo la distribuisse nelle piazze di spaccio calabresi.

Il bambino sapeva tutto. Veniva istruito dal padre su come si bonifica l’auto e a stare attento ai carabinieri: “Li hai visti? – sono le parole che il padre trafficante rivolgeva al figlio – sono scesi e ci hanno fatto la fotografia. Troppe chiacchiere ci sono state. Quando fanno così vuole dire che puzzano. Quindi meglio evitare, o no? Ora, a casa non sono venuti, la campagna la puliamo tutta, e quella la lasciamo là, sono? Abla Mucho”.

L’inchiesta ha consentito ai carabinieri di individuare la base logistica dei trafficanti che si trovava in campagna dove lo stupefacente veniva stoccato e tagliato. Gli indagati avevano “la possibilità di godere anche dei favori di professionisti pronti a cedere sostanze anestetiche utilizzate per il taglio della sostanza stupefacente”. Nell’ordinanza ci sono numerose intercettazioni in cui l’uomo parla con il figlio di problematiche relative al taglio della cocaina. Loro parlavano e gli investigatori annotavano nei brogliacci finiti sulla scrivania dei pm.

In un’occasione l’indagato aveva confidato al minore che dovevano ritirare dal “mercato” una partita di droga tagliata male e sostituirla con “quella giusta”. Il rischio era che i tossicodipendenti potessero morire: “Se tutto va bene – dice – dobbiamo andare anche da Francesca. Se la troviamo, vediamo che ha, se ha questa o se ha quella, e le diamo quella giusta. Hai capito? Così…che con quella all’ospedale va a finire”. “Quello che ci ha più colpito – ha affermato il procuratore Bombardieri durante la conferenza stampa – è che uno dei principali indagati aveva coinvolto il proprio figlio di 8 anni. È uno spaccato inquietante perché il minore veniva utilizzato per la bonifica delle autovetture e veniva fatto assistere al taglio della droga”.

“Gli investigatori – è scritto nell’ordinanza – evidenziavano lo sconvolgente coinvolgimento nel traffico illecito dell’uomo anche del figlio minorenne di appena anni 8 che, nonostante la tenerissima età, non solo si rivelava essere consapevole dell’attività svolta dai genitori ma vi partecipava anche attivamente suscitando l’ammirazione del padre che osservava orgogliosamente che un giorno gli ‘avrebbe fatto le scarpe”. Con il figlio, infatti, il padre parlava tranquillamente di droga e di armi, istruendolo anche su come venivano risolti i contrasti con i fornitori internazionali: “Che facevano? Una guerra succedeva qua… avevano kalashnikov, tutto…così lo potevi ammazzare, lo sotterravi e non sapeva niente nessuno, invece lì i colombiani… venivano qua sai che facevano? il macello”.

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