Cinema

Mostra del Cinema di Venezia, Joker è un incredibile oggetto cinematografico

E poi non c’è niente da fare: Joaquin Phoenix si mangia in un sol boccone Jared Leto, Heath Ledger e Jack Nicholson.

di Davide Turrini

Ridi pagliaccio. Quando uscirete, stupiti e sconvolti, da Joker, in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, nelle orecchie risuonerà per parecchio tempo la risata di Arthur Fleck, l’uomo/clown interpretato plasticamente da Joaquin Phoenix. Una sonorità tra lo sguaiato, l’isterico e lo stridulo. Nulla a che fare con la soddisfazione di un sorriso. Arthur sta male. E più sta male più ride senza controllo. In casa. Al lavoro. Tra la gente. Ovunque. Basterebbe questa tagliente trovata di senso a livello sonoro per far capire che incredibile oggetto cinematografico è questo Joker messo in scena da un regista, Todd Philips, che fino ad oggi ha girato commedie di grana grossa come Una notte da leoni o Parto con il folle.

Tempo un minuto di titoli di testa ed ecco Arthur/Joker che si trucca il viso, in silenzio, allo specchio, come un Calvero qualsiasi. È qui che la maschera triste del joker inizia a prendere subito forma. La situazione sociale a Gotham City non è cambiata granché dai tempi del Batman di Tim Burton o da quelli di Nolan. Tra le strade cupe c’è aria di rivolta. E Arthur, che fa il clown, con i larghi tipici scarponi del ruolo, intrattenendo passanti o bambini malati in ospedale, sembra come filtrare attraverso la sua trasfigurante depressione e le vessazioni subite il malessere che gli ribolle attorno. Non basta attendere che si concretizzi il sogno di diventare uno stand-up comedian e partecipare allo show di Murray Franklin (Robert De Niro), un late night alla Letterman, programma amatissimo dalla madre impazzita che lui accudisce amorevolmente in casa.

Il film è la pura, vibrante, tesissima attesa che la violenza personale del protagonista esploda. Phoenix è così sempre in scena. Certo, esistono altri personaggi secondari, ma non autonome sottotrame. Tutto ruota e si rispecchia su di lui. Verso quel corpo scavato, quel tronco incurvato, ossuto, nervoso. Verso quella graduale trasformazione da emarginato invisibile agli occhi del mondo, a sinistro clown colorato, senza superpoteri o improvvisa forza sovrumana, che non passa più inosservato. Arthur/Joker è un tizio identico a tanti altri che però ribalta l’ordine costituito di una Gotham altamente classista, nel senso marxiano del termine.

Sfruttando l’eco che hanno nel pubblico odierno i superhero movie, e costruendo un set urbano da pastosa e lugubre bruma anni settanta, Phillips dipinge un Joker folle e disperato, involontariamente eversivo e improvvisato danzatore, con una sintesi politica parallela al plot individuale che richiama la ribellione di piazza de La casa di carta. Dal fumetto di Bob Kane e Jeffrey Robinson, il villain della DCComics, per la prima volta stand alone, lontano da Batman e da altre gang di cattivi (comunque la trama prevede un intreccio con la famiglia Wayne e il piccolo Bruce che darà origine all’uomo pipistrello), fa incredibilmente centro. Perché si fatica a staccare anche solo per un secondo gli occhi da questo pagliaccio sinistro, rinsecchito, bistrattato. Certo ci si accorge dei clamorosi debiti tematici di ribellione alla Re per una notte o Quinto potere, ma ciò che fa realmente la differenza nel Joker di Phillips è la costruzione meticolosa di un’atmosfera originale ad ogni inquadratura, dettaglio per dettaglio, nel riempire anche l’angolo più invisibile del quadro.

Non che Scorsese o Lumet non lo facessero, ma c’è qualcosa di esteticamente ossessivo nell’amalgamare un determinato taglio trasversale di luce, la malinconica intensità di colori tardo-autunnali, l’inquietante e rimbombante commento musicale della compositrice islandese Hirlun Guonadottir (Soldado e la serie tv Chernobyl), da lasciare di stucco. E poi non c’è niente da fare: Phoenix si mangia in un sol boccone Jared Leto, Heath Ledger e Jack Nicholson. Questo Joker gli è stato cucito addosso nelle pieghe del viso, nelle pupille sempre pronte ad accendersi, in quelle linee sottili di braccia, tronco e gambe pronte ad un ipnotico e inusuale movimento coreografico. Oltretutto c’è anche una sorta di storico e simbolico passaggio di testimone. Il Joker/Arthur di Phoenix è il Travis Bickle del nuovo millennio. Gettato il sasso non togliamo la mano. La storia del cinema continua. Joker rischia di essere un film che piacerà all’immenso pubblico dei fumetti anche under 40. E potrebbe essere un guaio.

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