Quattro file di tavolini di plastica, pendant con sedute di plastica. Ridotto a un corridoio il passaggio dei pedoni che vogliono sottrarsi al rito godereccio dello street food: arancinerie, wursterie, paninoteche, pizzerie, pasticcerie, birrerie, panzerottinoteche… insomma una mangiatoia esagerata all’ombra di palazzi del più prezioso del barocco siciliano. Siamo nel cuore pulsante del centro storico di Noto, patrimonio dell’Unesco. Ma in mano ai barbari del cibo rischia il collasso. Un’indigestione di overtourism, derivazione dell’overbooking. Tutti che vanno nello stesso posto nello stesso tempo. Intanto per entrare a Noto già si comincia con un’ora di fila all’uscita dall’autostrada.

Sembra proprio che il “distrut-turista” sia più interessato a ingurgitarsi un cannolo con granella di pistacchio di Bronte che alle infiorate delle strade. Sono stata a Noto qualche volta con la stilista Luisa Beccaria, che ha ristrutturato con sapienza l’antico feudo di famiglia nel Siracusano. Cinque figli che formano una dinastia di creativi e inventrice di un home style fotografato dal New York Times, come ambasciatrice della sicilianità.

Se io fossi il sindaco di Noto le offrirei subito l’assessorato all’urbanistica. Via tavolini e sedie di plastiche, brutte e invasive, alcune anche “inscatolate” in mezzo alla strada. Effetto anti-urto nel caso di azzardata manovra di un’auto che passa. Ma il solo effetto è da pugno degli occhi. Anche gli angeli, come recita l’insegna, sono un sicilian concept, e il ristorante ricavato dalla sagrestia di una chiesa sconsacrata sembra l’asilo della Mariuccia in trasferta: carrozzini, bambini che dormono sulle sedie, altri sovreccitati dal sound spaccatimpani che giocano a nascondino tra i tavoli. Ed è l’una di notte, orario in cui solitamente dovrebbero essere a nanna.

Regole poche ma chiare per Cristina Suma, che nel suo charmosissimo “Seven Rooms” non vuole né cani, né bambini. Meriterebbe una medaglia Valentina, chef in odore di stella, che nel giardino de “Il Cantuccio” coccola i suoi 40 clienti. Ce ne entrerebbero il doppio, ma “non sono i numeri che fanno la qualità”. Già, i numeri. Le proiezioni fanno spavento. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, nel 1950 viaggiavano 25 milioni di persone. Degli happy few si sono ormai perse le tracce. Oggi girano il mondo come trottole all’incirca un miliardo e 300 milioni. Per sfiorare i due miliardi nel 2030.

Contro le invasioni barbariche candiderei assessore al decoro urbano anche Guido Ciompi, raffinatissimo architetto (e autore delle vignette che accompagnano il pezzo). Sette anni di lotta, ma alla fine l’ha spuntata e al posto del fatiscente mercato delle pulci, a piazza dei Ciompi nella sua Firenze, ha progettato un bellissimo giardino.

Il troppo Noto non rende giustizia a chi tanto si è prodigato: “Sia i notini di nascita, come l’affascinante Costanza Messina, che quelli d’adozione come l’intraprendente Samuele Mazza hanno lavorato sodo per rendere bella e nota Noto. Ora però bisogna che anche altri privati perbene ed esercenti si impegnino a mantenere alto il livello del turismo ed evitare che questo luogo perda la sua dignità trasformandosi da gioiello del barocco in immenso fast food senza senso e senza cultura. Che poi è il problema di un po’ tutte le città d’arte, piccole e grandi, che fanno risplendere la bella Italia. È il momento di fare qualcosa di serio se non vogliamo che tutto si spenga (come le luminarie del santo patrono) molto prima di quanto ce ne possiamo accorgere…”.

Chiaro? Rinunciare a qualche incasso, qualche tavolo di plastica in meno (ne guadagna pure l’ambiente) e qualche hamburger in meno (ne guadagna la salute).

Direttrice storica di Interni e inventrice del Fuorisalone (format di strasuccesso della Design Week), Gilda Bojardi – occhio allenato al bello e neoeletta assessora alla cultura e al turismo di Castell’Arquato, borgo medioevale nel piacentino – la proporrei per la stessa carica a Noto. Visto che qui è di casa, ha comprato una maisonette nella pre-oasi di Vendicari. La sua ricetta è semplice: gestire in maniera intelligente il flusso dei turisti. Anche e sopratutto fuori stagione.

Destagionalizzazione. Questa è la carta da giocare, come fa Nicola Amenta nel suo “Shoresound” – letteralmente “suono dell’onda” – in località Marza di Pachino, ove si cavalca la nuova onda di recuperi smart garbatamente sottratti al turismo di massa, tra pregiate spiagge bianche nel regno del non-da-meno pomodorino pachino. Gli emigranti che a inizio secolo sono andati a cercare fortuna in America sono tornati e hanno comprato. Poi non hanno resistito al richiamo delle sirene di Miami e Palm Beach e adesso stanno rivendendo… Lasciamoli fare! Soprattutto, lasciamoli andare!

Instagram: januaria_piromallo

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