“Io speravo in una riforma più efficace e coraggiosa di quella che ci hanno sottoposto. Che non accorcia processi, che non garantisce galera certa agli spacciatori, noi vogliamo togliere le attenuanti generiche… Bonafede si arrende allo status quo, parla di processi di 6 anni. Noi pensiamo che i tre gradi di giudizio si possono concludere in quattro anni, per esempio”. Matteo Salvini, in una lunga intervista al Corriere della Sera, ripropone la sua idea di ragionevole durata del processo rispondendo a una domanda sul tema che ha mandato in fibrillazione il governonelle ultime ore. Sulla questione già ieri era intervenuto il ministero della Giustizia, Alfonso Bonafede: “Se il punto, se l’obiettivo è veramente ridurre i tempi del processo penale, e non c’entrano niente separazione delle carriere e intercettazioni, come ho sempre detto, con il M5S sfondano una porta aperta”.

“Non ha senso cronometrare la durata del processo, fissando un termine di scadenza, che siano sette o quattro o dieci anni. Occorre intervenire sulle ragioni strutturali della irragionevole durata – dice Gian Domenico Caiazza. presidente dell’Unione delle camere penali interpellato dal fattoquotidiano.it – Al tavolo con il ministro Bonafede, e d’intesa tra Anm e Unione camere penali si era individuato il giusto obiettivo: ridurre drasticamente il numero dei processi che giungono al dibattimento, potenziando i riti alternativi (patteggiamento e rito abbreviato), rafforzando la funzione di filtro della udienza preliminare, e depenalizzando lo sterminato numero di reati contravvenzionali”.

“Oggi nella nostra realtà processuale – spiega il numero uno del sindacato degli avvocati – arrivano al dibattimento il 90% dei processi, mentre un sistema processuale accusatorio ne può reggere ragionevolmente non oltre il 30-40%. Il ministro Bonafede aveva seguito quella indicazione e alla fine il ‘tavolo’ aveva realizzato un buon prodotto: pena patteggiabile fino a dieci anni e addirittura fino a metà pena se l’accordo viene definito prima della conclusione delle indagini; rito abbreviato fortemente potenziato; poteri valutativi del Giudice della udienza preliminare rafforzati; reati contravvenzionali depenalizzati. Ma al momento di trasferirlo nel testo della delega, la Lega – a quanto ci ha riferito il ministro – ha preteso di eliminare sia la parte delle norme che potenziavano il patteggiamento, sia la parte relativa alla depenalizzazione. Così mutilata, la riforma ha obiettivamente perso gran parte della sua efficacia. Bisogna chiedere alla Lega – conclude – quali siano state le ragioni di quei veti. Quel che è certo è che non si può essere ideologicamente contrari alla incentivazione della soluzione negoziale dei processi, e poi pretendere, per pura petizione di principio, che i tre gradi di giudizio si concludano in un tempo prestabilito a tavolino“.

Stessa lunghezza d’onda di Luca Poniz il presidente dell’Anm, che ieri parlando a Radio Anch’io su Radio Rai, aveva detto: “Sui tempi dei processi noi siamo favorevolissimi che durino meno, è un problema prima di tutto dei magistrati perché essi lo concepiscono come una mancata risposta alle domande dei cittadini. Il problema è che la soluzione è molto complicata, perché non basta dire che il processo deve durare meno, si deve invece spiegare perché dura molto. Serve un intervento sulla struttura dell’intervento penale e del processo penale. “Bisogna dunque incentivare i riti alternativi, aumentare il patteggiamento e eliminare quelle garanzie che secondo noi al momento sono superflue”.

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