In occasione delle Elezioni europee del 2019, la Lega aveva messo in disparte il verdiano Va’ pensiero, il coro ebraico del Nabucco con cui la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania chiudeva i comizi da tempo. Un coro solenne che termina con una esclamazione dal suono poco popolare, oggi: “Virtù!”. Come colonna sonora della vittoriosa campagna elettorale aveva invece scelto Nessun dorma, celebre aria della Turandot di Puccini. Forse per il finale scaramantico: “Vincerò!”. O perché, durante la campagna elettorale del 2016, Donald Trump iniziava i suoi comizi con la stessa aria d’opera. E, in entrambi i casi, il responso delle urne ha premiato la svolta pucciniana.

Nessun dorma è una romanza vischiosa. Il cuore di una fiaba persiana assai insidiosa, già raccontata a teatro da Carlo Gozzi nel 700 e poi ripresa da Friedrich Schiller nell’800 per le sfortunate prove musicali di Ferruccio Busoni e Carl Maria von Weber. E il libretto scritto da Giuseppe Adami e Renato Simoni per la musica di Giacomo Puccini enfatizza il culto delle cineserie già officiato da Schiller. In questo senso, l’avanguardia leghista corre già sulla via della seta.

Calaf – il Principe Ignoto che, all’inizio del terzo atto, canta la romanza Nessun dorma – è fondamentalmente uno straniero. È il principe di Astrakan, spodestato e costretto all’esilio a Pechino, un clandestino senza documenti che si aggira per le strade della metropoli, illuso di poter sedurre e sposare una giovinetta locale di alto lignaggio grazie a un truculento gioco a premi; e così affrancarsi dalla cattiva sorte. E la fortuna lo premierà, perché la crudele principessa imperiale Turandot, dopo un iniziale rifiuto dettato dal pregiudizio contro lo straniero, finirà per amarlo con passione. “All’alba vincerò! Vincerò! Vincerò!”, conclude il principe nell’aria più struggente dell’opera.

Puccini lasciò incompiuta l’opera, che fu completata da Franco Alfano su incarico dell’editore Ricordi. Durante la prima alla Scala (25 aprile 1926) il maestro Arturo Toscanini arrestò la recita a metà del terzo atto, ovvero dopo l’ultima pagina completata da Puccini, rivolgendosi al pubblico: “Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto”. L’ultima replica scaligera, in occasione di Expo2015, fu un grande successo, salutato dagli applausi di Matteo Renzi e Giuliano Pisapia sul Palco Reale, mentre fuori dal teatro qualcuno protestava contro l’esposizione universale. Qualche giorno fa, Rai5 ha riproposto l’opera nell’edizione scaligera del 2001 con la direzione musicale di Georges Prêtre. Nel 2018, alla fine del secondo atto della Turandot, un pezzo di scenografia del Teatro Regio di Torino è invece crollato, ferendo due coristi.

Puccini non musicò mai l’epilogo in cui Turandot annuncia alla folla il nome dell’ignoto straniero: “Il suo nome è Amore”. Né il coro finale che la stessa folla giubilante canta nella tonalità di Do maggiore: “Luce del mondo e amore! Ride e canta nel sole l’infinità nostra felicità!” Mentre la principessa abbraccia teneramente Calaf. Nessuno deve averlo mai svelato a Trump, un uomo che ha un debole soprattutto per l’immobiliare: “È tangibile, solido, bello. È artistico, dal mio punto di vista; e adoro davvero il settore immobiliare”.

Gli americani danno grande importanza al testo delle opere musicali, siano classiche o leggere e folk. Gli europei in genere, e gli italiani in particolare, antepongono la musica al testo e, non a caso, altri musicisti si sono adoperati a riscrivere lo spartito del finale incompiuto, come il grande Luciano Berio. Al contrario, siamo in attesa che Trump o qualche epigono chiami un poeta laureato a riscrivere il finale del libretto di Turandot, ideando un epilogo meno imbarazzante della vicenda. Una commessa che gradirebbe certo il protagonista del romanzo distopico 1984 di George Orwell, il ri-scrivàno Winston Smith, archetipo di molti autori contemporanei.

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