Il giovane poliziotto, con cui ogni tanto chiacchiero nella palestra dove mi illudo di potermi rimettere in forma, lo dichiara con assoluta convinzione: “Io sto con Salvini perché lui sta dalla mia parte”. Inutile controbattere. E questo è solo uno fra i tantissimi fidelizzati elettorali pronti a giurare sull’appesantito quarantenne che, giorno dopo giorno, assomiglia sempre di più al “Signor Tubi”, l’idraulico con doppia vita da svaligiatore, nei fumetti del Topolino dei tempi d’oro.

In effetti il Capitano leghista, oggi accreditato di doti politiche e comunicative straordinarie, è soltanto un beneficiario dell’eredità berlusconiana sia nei toni (i “bacioni” che accompagnano ogni dichiarazione virulenta, remake del richiamo all’ipotetico “partito dei moderati e dell’amore” quando il già Cavaliere procedeva nelle sue più smaccate campagne d’odio; dai presunti “comunisti” ai “magistrati per antonomasia di sinistra”); sia nelle strategie (l’Armando Siri che in Sicilia tresca con personaggi limitrofi alla criminalità organizzata come maldestro epigono del Marcello Dell’Utri che assicurava a Forza Italia l‘en plein dei voti espressi dall’isola alle elezioni politiche del 2001: 61 eletti su 61 posti). Soprattutto lui e la sua Lega post-padana sono i beneficiari delle campagne terroristiche che per anni hanno stravolto il comune sentire di buona parte dei nostri concittadini: lo stillicidio quotidiano di notizie “di paura” a cui si era consacrato il telegiornale di Retequattro diretto da Emilio Fede; le cronache cattiviste sui talk show e la carta stampata dei maestri di nevrotizzazione del pubblico al soldo di Berlusconi. Dal garrulo Mario Giordano allo sprezzante Maurizio Belpietro.

Un’opera che ha sedimentato nella pubblica opinione un insieme di stereotipi che determinano nell’urna riflessi condizionati, che Salvini incassa alla grande. Mentre l’assenza di narrazioni in grado di mobilitare più e meglio di una generica “onestà” (ormai trasformata in giaculatoria che stufa) e della conclamata lotta alla povertà (ridotta al ticket di un Reddito di cittadinanza che si rivela soltanto l’ennesimo sussidio di disoccupazione) rendono sempre più disarmati i partner/contrappeso-di-governo pentastellati. Per di più indeboliti dai continui cedimenti programmatici davanti al sistematico ricatto di essere portati a elezioni anticipate dai soci del contratto di governo, da affrontare nelle peggiori condizioni.

Sempre di più e sempre da più parti si continua a ribadire l’opportunità di sfuggire l’immediato confronto elettorale, a causa anche dei sondaggi che prevedono la prognosi terminale (come minimo il dimezzamento dei suffragi 2018 per i 5S), realizzando una sorta di governo di salute pubblica. Alla faccia di Matteo Renzi, cultore della ricetta “tagliarselo per far dispetto alla moglie” e il suo indigesto pop-corn, che ci ha regalato l’obbrobrio giallo-verde. Ricetta propugnata tanto da amareggiati analisti del quadro politico alla Massimo Cacciari come da furbacchioni alla Dario Franceschini.

Operazione che – in effetti – avrebbe come scopo primario, per non dire unico, quello di fare essudare gli umori incanagliti, sparsi a piene mani dall’opera ventennale di corruzione della mentalità collettiva da parte della destra “tanto peggio tanto meglio”, dirottata da Matteo Salvini su questioni marginali trasformate in ossessioni, tipo i salvati dall’annegamento nel Mediterraneo. Nella totale indifferenza delle questioni reali (ma che interessano meno perché non semplificabili) come ad esempio i 244mila nostri ragazzi ad alta scolarizzazione che negli ultimi anni sono emigrati all’estero, di cui scriveva alla fine di giugno Francesco Sylos Labini sul Fatto Quotidiano. Creare un break per smascherare gli intenti “forchettoni” di questa Lega che imbosca euro, patteggia restituzioni epocali e insegue rubli.

Solo dopo un’avvenuta normalizzazione, intesa come bonifica, avrà senso tornare a votare. E magari accontentare il ridanciano Zingaretti che vorrebbe liberarsi dalla zavorra dei renziani che pullulano tra gli scranni parlamentari del Pd. Ma solo allora.

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