Negli ultimi 40 anni, nella maggior parte dei paesi dell’Ocse, le disuguaglianze economiche sono aumentate, dopo un periodo storico, il Dopoguerra, durante il quale diminuivano. La crisi economica del 2008 ha ulteriormente incrementato la forbice socioeconomica tra le classi sociali: in Italia, il coefficiente di Gini, una misura di disuguaglianza economica che va da un minimo di 0 a un massimo di 1, è aumentato da 0,329 nel 2007 a 0,354 nel 2015. Questo coefficiente è pari a 0,275 in Norvegia, mentre negli Usa è uguale a 0,415.

Per alcuni economisti, tali incrementi di disuguaglianze economiche non sono un problema. Altri invece sono molto preoccupati. Cosa dice l’evidenza? Analisi pubblicate su riviste scientifiche internazionali peer-reviewed affermano che le disuguaglianze eccessive sono un ostacolo al benessere per almeno cinque motivi:

1. Le società più diseguali hanno peggiori indicatori di salute: hanno più bassa longevità, più alta mortalità infantile, maggiore prevalenza di malattie mentali, ansia da status, narcisismo e schizofrenia. Le società più diseguali hanno anche peggiori indicatori per quanto riguarda l’abuso di sostanze, l’obesità, il benessere dei bambini, le gravidanze adolescenziali e l’abbandono precoce della scuola.

2. Il secondo tipo di effetti riguarda le relazioni sociali. La letteratura internazionale ha concluso che le società più diseguali sono caratterizzate da più bassi livelli di fiducia interpersonale, partecipazione agli affari pubblici e coesione sociale, e soffrono inoltre di alti tassi di criminalità e violenza, in particolare gli omicidi.

3. Il terzo aspetto concerne la democrazia. La concentrazione di ricchezza all’apice della gerarchia economica si traduce in una maggiore capacità delle classi sociali più abbienti di proteggere i loro interessi, osteggiando l’adozione di politiche fiscali progressive e gli investimenti nel welfare. Questo potere è spesso esercitato attraverso il finanziamento di campagne elettorali, il reclutamento di lobbisti e l’occupazione di spazi mediatici. In altre parole, eccessive disuguaglianze economiche rischiano di trasformare i governi nelle “migliori democrazie che i soldi possono comprare”.

4. Il quarto motivo che rende preferibile una società più equa riguarda l’economia: secondo l’Fmi un coefficiente di Gini superiore a 0,27 è un ostacolo non solo alla crescita economica e alla lotta contro la povertà, ma anche alla prevenzione di crisi finanziarie. Inoltre, nelle società più diseguali la mobilità sociale è limitata. Molti immaginano gli Usa come la terra del “sogno americano” dove qualsiasi persona può ambire a diventare miliardaria. In realtà, gli americani hanno il più basso livello di mobilità sociale tra i paesi dell’Ocse (dopo l’Italia!), valore molto inferiore a quello dei paesi nordeuropei. Qualcuno ha sarcasticamente sostenuto che “per vivere davvero il sogno americano, è meglio trasferirsi in Danimarca.”

5. La quinta e ultima ragione per sostenere una distribuzione del reddito più equa riguarda il rispetto dell’ambiente: i paesi con più alta disuguaglianza di reddito sono più consumisti e meno disposti ad aderire a norme comportamentali compatibili con la sostenibilità. Le eccessive disuguaglianze tra paesi compromettono inoltre la cooperazione internazionale e l’attuazione di efficaci trattati sul cambiamento climatico, la minaccia principale alla salute globale nei prossimi decenni.

Esistono diverse riforme capaci di ridurre il gap economico, come l’investimento in effettive protezioni sociali e l’introduzione di meccanismi di azionariato tra i dipendenti. Tuttavia, la riforma probabilmente più urgente è di tipo fiscale. La tassazione delle classi sociali più abbienti nei paesi dell’Ocse è ai minimi storici dal Dopoguerra. In Italia, mentre le piccole imprese e i redditi medio-bassi sono sovratassati, l’aliquota massima Irpef per redditi comparabili a 258mila euro l’anno e oltre è scesa dal 72% del 1974 al 43% di oggi.

Sfortunatamente le politiche neoliberiste che hanno guidato la globalizzazione, come la deregolamentazione finanziaria e lo smantellamento dei controlli sul movimento di capitali, hanno limitato la capacità dei governi di far pagare ai super ricchi e alle multinazionali la loro equa quota d’imposta. Tali riforme hanno inoltre facilitato la diffusione di paradisi fiscali, dove si trova nascosta una ricchezza pari al 10% del Pil mondiale. Nel 2018, la presenza dei paradisi fiscali ha permesso a 60 multinazionali come Amazon, Netflix, Ibm e General Motors di non pagare tasse!

L’evidenza parla chiaro. Al fine di promuovere la salute, le relazioni sociali, la democrazia, la stabilità economica e la sostenibilità ambientale, è necessaria maggiore equità. Non solo sono necessarie riforme fiscali progressive, ma anche l’adozione di accordi internazionali finalizzati a limitare l’uso dei paradisi fiscali e la fuga dei capitali.

Articolo Precedente

Banche, il vero male è la terra di mezzo. E a pagare sono sempre gli ultimi

next