Vista dalle colline di Savona, l’ultima funivia d’Europa è un gigantesco pentagramma di acciaio, che da 107 anni trasporta carbone dal porto di Savona in Val Bormida, scavalcando 18 km di boschi. “Quand’ero ragazzino, anch’io mi aggrappavo ai vagonetti – racconta Fulvio Berruti, ex-dipendente delle Funivie e a lungo rappresentante sindacale – era una sfida fra ragazzi: vinceva chi si faceva trasportare più lontano, ma spesso le guardie di stazione ci correvano dietro. Mio padre, ‘funiviere’ anche lui, raccontava che, durante la guerra, i più poveri salivano sui pali per scaricare i vagonetti e rubare il carbone”.

Quando venne realizzata nel 1912, quella di Funivie era la linea di trasporto aerea più lunga del mondo e, da allora, i vagonetti che attraversano il “cielo sopra Savona” sono una componente fissa del paesaggio, che resistendo alla sfida del tempo sembra quasi rassicurare la provincia sulla continuità del suo destino industriale. Questa certezza è crollata a gennaio, quando il ministero delle Infrastrutture ha bloccato i finanziamenti (20 milioni) al gruppo Ascheri che ha in concessione l’impianto, perché non avrebbe rispettato l’impegno di coprire i parchi dove viene stoccato il carbone. “A gennaio dovevamo discutere con l’azienda un piccolo premio di risultato, perché abbiamo scaricato 100mila tonnellate in più rispetto al 2017 – dice Fabrizio Castellani (Filt Cgil Savona) – e mai avremmo immaginato quel che stava accadendo e che l’azienda ci ha nascosto. E’ stato un parlamentare a dirci di contattare il Mit, perché aveva sospeso i contributi che versa ogni tre mesi, sia per l’esercizio che per gli investimenti tecnologici, compresa la copertura dei parchi carbonili a San Giuseppe di Cairo”. Funivie, insieme a Italiana Coke e al “Terminal alti fondali Savona”, fa parte di un sistema integrato che con l’indotto dà lavoro a 600 persone. Per essere sostenibile questa rete dovrebbe scaricare almeno 1.500.000 tonnellate all’anno, cosa impossibile perché i fondali del porto di Savona accolgono solo navi di medie dimensioni.

“Senza contributo statale le Funivie non stanno in piedi – dice Castellani – ma se non ci fossero, ogni giorno vedremmo viaggiare fra Savona e Cadibona centinaia di Tir. Nell’accordo del 2007, il ministero dei Trasporti si impegnava sino al 2022 per un totale di 122 milioni, di cui 29 erano destinati alla copertura dei carbonili”.

Quando esplose il caso di Tirreno Power, la centrale a carbone di Vado Ligure, tutte le tv corsero a filmare la polvere che anneriva i lenzuoli a poche centinaia di metri dal centro. Verrebbe quindi da chiedersi perché i depositi di S.Giuseppe siano ancora scoperti. “Il gruppo Castaldi, che si era aggiudicato un appalto al massimo ribasso – spiega Castellani – aveva chiesto subito una revisione dei costi e Funivie gli ha revocato l’appalto assegnandolo a un nuovo gruppo, che però è finito in concordato preventivo. Così dei 29 milioni ne sono stati spesi solo due, per abbattere dei manufatti. Inoltre Funivie ha pagato cara la crisi di Italiana Coke, perché da quando è andata in concordato preventivo non ha potuto per un sacco di tempo incassare fatture per nove milioni. Probabilmente ha utilizzato i fondi del contributo statale per pagare gli stipendi dei lavoratori”.

Funivie, in un comunicato, dichiara di aver sempre informato tempestivamente il ministero sulle ultime vicende e dice che, al momento, le attività continuano senza problemi, anche in ragione di “una gestione oculata che ha consentito di accumulare discrete riserve di danaro“. “Siamo confidenti – dichiara Paolo Cervetti, ad di Funivie – che gli enti coinvolti sapranno trovare una soluzione per garantire un servizio pubblico che da cento anni elimina più di 125 camion al giorno dalle strade”.

Chiedo a Castellani se, in un contesto di crisi complessa come Savona, abbia senso bloccare i contributi: “La perdita di 600 posti per un’area come Savona sarebbe una catastrofe. Vogliamo sapere da Danilo Toninelli cosa vuole fare della filiera del carbone: se pensa che sia brutto e cattivo lo deve dire e deve assumersi le sue responsabilità, ma io credo che lo stop ai contributi sia soprattutto un fatto burocratico e non ideologico, che richiede una scelta politica. Abbiamo chiesto un incontro con il ministro, ma per ora abbiamo avuto solo contatti con funzionari. Anche perché ben due sottosegretari ai trasporti, Armando Siri ed Edoardo Rixi, sono stati spazzati via da vicende giudiziarie…”

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