Il libro di cui volevo parlare questa settimana l’avevo perso. Si trattava di una scomparsa sospetta: non l’avevo prestato a nessuno, non lo avevo portato in giro e non lo avevo lasciato in un posto in cui mio figlio potesse distruggerlo. Eppure non lo trovavo. La ricerca è durata un po’, finché non mi sono arreso: “Ne scriverò quando lo ritroverò”. Mi sono allora seduto ed era lì, appoggiato sulla scrivania. Il posto più ovvio. Come era stato possibile?

Ebbene, il libro di cui vi parlerò è completamente nero: copertina nera, titolo nero, costa nera, bordo delle pagine nero. Sulla scrivania nera era scomparso, pur rimanendo dove lo avevo lasciato. L’oggetto libro è in questo caso esattamente in linea con il suo contenuto. Storia del buio (Il Saggiatore), scritto da Nina Edward e tradotto da Andra Ricci, parla proprio di questo. Il buio è qualcosa che fa scomparire ciò che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. Ad alcuni questa cosa spaventa, infatti il buio è diventato sinonimo di paura, altri però ne sono attratti. Il buio infatti permette di inventare ciò che non si vede. L’oscurità nutre l’immaginazione. Come scriveva Virginia Woolf: “Solo le persone noiose hanno paura del buio”.

La paura del buio ha un retaggio antico. Al buio è difficile riconoscere il pericolo e si può diventare prede di animali feroci, o essere presi di sorpresa. La luce al contrario è salvezza, è illuminazione metafisica, chiarezza. In occidente ciò che riflette la luce, come l’oro o l’argento, è prezioso, mentre il colore nero è in sinonimo di inquietudine – come “l’uomo nero” – e di lutto.

Per noi esseri umani occidentali nel 2019 ciò che esiste è ciò che si vede, o viene mostrato. Quello che non si vede non esiste. La concezione di oscurità come non esistenza ha origini remote. Nella Bibbia il mondo ha inizio quando Dio crea la luce e la separa dalle tenebre, dando inizio all’alternanza di giorno e notte. Prima ancora, per i Greci, l’Ade era il regno oscuro dei morti. Nell’I Ching, l’antico testo cinese scritto mille anni prima di Cristo, l’ordine del cosmo è dovuto proprio alla compresenza di luce e tenebra, di yin e yang, mentre nella visione occidentale il buio pare nemico della luce e non il suo elemento complementare.

Nel Medioevo – “i secoli bui” – Petrarca scriveva: “Quando l’oscurità sarà dispersa, i nostri discendenti potranno splendere di nuovo come prima”. Il buio diventa così il sinonimo di perdizione: è nella “selva oscura” in cui Dante smarrisce la via, e se stesso. Ed è al buio che si possono compiere misfatti, come nel Macbeth di Shakespeare in cui Lady Macbeth invoca le tenebre: “vieni, o fitta oscurità notturna, e ammantati del più buio fumo dell’inferno. Così che il mio coltello affilato non veda la ferita che apre. E i cieli non si sporgano fuor della coltre d’ombra per gridare: ‘fermati! Fermati!'”.

La Edward chiude infine il libro con una riflessione sul tempo presente. Il buio che per millenni è stato padrone incontrastato della notte oggi è quasi impossibile da percepire. Nelle nostre città il buio è stato annientato dall’illuminazione elettrica che rende il cielo piccolo e vicino, privo di stelle e piatto. In Colorado è nato un movimento per riportare il buio nelle città (pratica molto sana anche per l’ambiente). Questo gruppo si appella a una risoluzione Unesco scritta nel 2007 che recita: “la contemplazione del firmamento dovrebbe essere considerata un diritto inalienabile dell’umanità”. Sperando quindi, che ritornino un giorno i “tempi bui”.

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