La sentenza è attesa in autunno e tra i 12 imputati, di cui 9 in carcere, c’è anche Oriol Junqueras, l’ex vicepresidente della Generalitat nonché eurodeputato, che rischia 25 anni per ribellione. Perché per la Procura di Madrid l’organizzazione del referendum sulla secessione e la successiva dichiarazione di indipendenza della Catalogna è stato un vero e proprio colpo di Stato. Il verdetto del Tribunale supremo arriverà dopo l’estate, ma gli imputati hanno già in mente di appellarsi alla Corte europea dei diritti umani. Per quattro mesi i giudici hanno esaminato il ruolo degli imputati, tra leader e attivisti catalani, nell’ottobre del 2017. Junqueras, nella sua dichiarazione finale, ha affermato che “votare e difendere la repubblica non può essere considerato un crimine“, e poi ha lanciato un appello a “tornare alla politica“, perché la questione dell’indipendenza della Catalogna non può essere affrontata in un tribunale.

Lui è il principale imputato, in assenza dell’ex presidente del governo catalano, Carles Puigdemont, che è fuggito in Belgio. E anche lui, come Junqueras, è appena stato eletto europarlamentare. Oggi, per l’udienza finale, si sono alternati in aula tutti e 12 i leader indipendentisti alla sbarra, tra i quali la ex presidente del parlamento catalano Carme Forcadell e i leader della società civile Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, promotori del referendum secessionista del primo ottobre 2017. E tutti hanno fatto appello ad una soluzione politica. Secondo Jordi Sanchez “non è stata una giornata di violenza”, ma “un atto di protesta e disobbedienza“.

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