La Polizia come “forza dello Stato” a “garanzia di tutti”. Nessuna indicazione contraria alla legge ricevuta dal ministro dell’Interno, altrimenti – giura – avrebbe rassegnato le dimissioni. E quindi la risposta a Roberto Saviano, che mercoledì aveva accusato la polizia di fare il “servizio d’ordine” di Matteo Salvini: “Si è trattato di accuse ingiuste e ingenerose, perché coinvolgono la polizia in una polemica politica che non ci appartiene”, dice Franco Gabrielli in un’intervista al Corriere della Sera. Alla vigilia di un appuntamento elettorale, sottolinea il capo della Polizia, è “interesse di tutti non contribuire” ad alimentare tensioni, “né coinvolgere nelle dispute quotidiane istituzioni di garanzia come la nostra, tirandole da una parte o dall’altra”.

“Io come vertice di questa amministrazione posso provare fastidio e preoccupazione quando il ministro dell’Interno viene definito “ministro della Malavita”, ma non mi sono mai permesso di interloquire – aggiunge sempre in riferimento a un’altra espressione usata dallo scrittore di Gomorra – Se però la mia amministrazione viene chiamata in causa con affermazioni false, ho il dovere, oltre che il diritto, di reagire e di chiedere rispetto”. Una “reazione” arrivata via social, attraverso il canale ufficiale della Polizia su Twitter. Un intervento “sollecitato e autorizzato”, chiarisce Gabrielli.

Il numero uno della Polizia ‘schiera’ i suoi uomini in una posizione di equidistanza spiegando, in riferimento agli interventi durante i comizi del capo del Viminale, che “non ci sia comizio senza contestazioni e non mi risulta si sia impedito di manifestare”. Ma “quando si verificano situazione di potenziale turbativa, spetta al funzionario in strada fare le valutazioni del caso ed evitare che possano provocare conseguenze”. Anche perché, assicura, Salvini “non mi ha mai chiesto nulla di contrario alla legge” e per questo “mi sento ferito e amareggiato quando si tira per la giacca la mia amministrazione chiedendomi di essere ciò che non posso essere: io sono un funzionario dello Stato, non un politico”. Ma, spiega, se un ministro “mi chiedesse di superare il confine del lecito, e se venisse messo in discussione anche solo uno dei principi a cui devo ispirare la mia azione, il mio dovere non sarebbe di fare un proclama o un’intervista, ma di rassegnare le dimissioni”.

Bollando le polemiche sulla divisa indossata con frequenza dal ministero dell’Interno come “pretestuose”, preferendo leggere l’outfit salviniano come un “segno di attenzione nei nostri confronti”, Gabrielli ricorda come la famiglia rom di Casal Bruciato minacciata dai vicini e da formazioni di estrema destra “sia stata protetta dalla polizia” e interpreta questo come “un segnale dell’attenzione della nostra amministrazione verso i diritti di tutti”. Ma proprio sui fatti della periferia romana – non l’unico caso negli ultimi tempi – il capo della Polizia si dice “perfettamente consapevole” di “segnali inquietanti di nuove forme di razzismo e xenofobia, l’antisemitismo di ritorno, rigurgiti di neofascismo che vanno monitorati con attenzione e repressi quando ci sono gli estremi”. La polizia, aggiunge, “non si sottrae alle proprie responsabilità, ma non si può sostituire a quelle altrui”.

E sul ferimento della bambina di Napoli durante una sparatoria, così come sulla lotta alla criminalità organizzata, sottolinea, “non è il caso di abbandonarsi a toni trionfalistici, perché quello è un territorio complicato, dove cerchiamo di fare il possibile nei limiti e nella limitatezza dei mezzi a disposizione”. I “problemi”, aggiunge Gabrielli, “ci sono a Napoli, come nella provincia di Foggia, in Sicilia e in molte altre zone, dove magari non avvengono episodi eclatanti che attirano l’attenzione dell’opinione pubblica”. La criminalità organizzata, ricorda, è “la priorità che questo Paese si trova a dover affrontare sul piano della sicurezza”.

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