L’unica cosa certa è che siamo stufi di polemiche per il 25 aprile. Per favore, basta divisioni, basta liti. Ognuno onori i suoi morti e le sue vittime e lasci stare quelli degli altri. Soprattutto, però incominciamo a onorare i vivi, i giovani in particolare, cioè tutti quelli che hanno bisogno di un paese unito e impegnato a costruire un futuro migliore. Generazioni che hanno saputo dare solo il cattivo esempio. Ora, bene o male, giusto o sbagliato che sia, prendiamo atto tutti che la festa cosiddetta della Liberazione (definizione certamente impropria) fa parte della storia italiana e deve essere accettata da tutti. Ma non può essere imposta, né dovrebbe essere subita. Quindi l’unica strada è quella della condivisione, abbandonando il vecchio modello a schieramenti contrapposti, per di più fondato su una realtà storica che non esiste. Non si tratta di dimenticare o trascurare, si tratta di andare oltre. Non ne possiamo più di liti e il paese è sull’orlo del baratro.

Non è necessario esserne convinti razionalmente – la volontà infatti viene prima e guida la ragione – anche se le basi razionali per una storia condivisa non mancano e si recuperano facilmente. L’Italia – come è capitato a tutti i paesi e come accade in tutte le vicende individuali – ha trascorso un periodo molto «travagliato» tra la fine della I Guerra mondiale e la fine della II. Non è stato un periodo bianco/nero, è stata un’epoca molto complessa, profondamente contraddittoria, anche inaspettata. Il succo è che ciò che accadde in quegli anni non fu opera del Babau, ma al di là di ogni ideologia, fu il frutto del comportamento di tutti gli italiani, perfino di quei pochissimi che vi si opposero strenuamente e in epoche non sospette, perché probabilmente non riuscirono ad essere così efficaci da incidere nell’andamento dei fatti.

Ma la storia non basta. Ci vuole lo sforzo decisivo (lo faranno mai gli italiani?) di riconoscersi come un solo popolo, sotto le stessi leggi, la stessa storia, gli stessi errori, i medesimi difetti, per cercare di diventare una nazione adulta, matura, che voglia crescere e lavorare nella stessa direzione del bene comune. Se dovessimo continuare a guardare il nostro passato, la fine degli egoismi particolari resterà certamente un sogno. In ogni caso anche la festa del 25 aprile è un’occasione per dimostrare che possiamo diventare un popolo civile, un paese che vuole migliorare i propri difetti e che vuole veramente assicurare ai propri cittadini il massimo del benessere possibile, una vita serena e libera, dove infinite bellezze possono essere godute da tutti.

Nessuno deve fare un passo indietro, semmai si tratta di fare parecchi passi avanti. Piantarla con la questione del fascismo e dell’antifascismo, che per dirla come si usa, hanno rotto proprio le scatole. Il dibattito quello storico, quello culturale, ben venga, ma civilmente confinato all’ambito suo proprio. Per troppi decenni le polemiche fascismo-antifascismo sono state più che altro la scusa per consentire a molti di sottrarsi alle proprie responsabilità e provocare danni al paese. Le polemiche servono solo al non fare, e contribuiscono al malessere generale. La storia come clava a supporto dell’ideologia è non-storia. La conoscenza storica – se è tale – risolve i problemi, non li crea; aiuta il dialogo, non i contrasti; alimenta la pace sociale, non gli scontri

Il 25 aprile da festa della Liberazione così può diventare la festa della Rinascita, di un Italia che ha capito finalmente che si diventa grandi solo se si è capaci di fare una seria autocritica dei propri errori, spietati con se stessi, generosi con gli altri. Il paese non ha bisogno di santi e peccatori, ma – molto più banalmente – ha bisogno di tutti (proprio tutti) gli italiani. Se dovessimo fare una seria lista dei buoni e dei cattivi, di quelli che hanno diritto legittimamente a festeggiare e di quelli che invece questo diritto non ce l’avrebbero, probabilmente le piazze sarebbero drammaticamente vuote (senza contare che i più sono morti). Meglio lasciare stare con le etichette e andare alla sostanza.

Il 25 aprile deve quindi diventare una vera Festa condivisa o sparirà. La liturgia delle feste italiane è purtroppo ancora troppo fatta di chiese, di piazze contrapposte e sinceramente siamo stufi. È ora che gli italiani individualmente e collettivamente conoscano e cerchino gli aspetti positivi e vadano avanti. «Tasi e tira» come direbbero gli artiglieri della Tridentina. Perché l’Italia ha bisogno di concordia, di altruismo, di collaborazione, non di odio, discriminazione e tantomeno di feste separate.

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