Ammettiamo per un momento che Benedetto XVI non abbia scritto la lunga memoria sulla pedofilia del clero. E, dunque, che gli estensori materiali del testo siano stati altri, riprendendo e sviluppando molti concetti ratzingeriani. Seppure in alcuni passaggi con uno stile assai pungente che è ignoto alla vastissima produzione letteraria di Ratzinger. E che in un secondo momento questo scritto sia stato fatto leggere al Papa emerito che ne ha assunto la paternità. Dunque, ormai il testo porta la firma di Benedetto XVI. E questo è un dato di fatto. Del resto se si affermasse che di un Pontefice, regnante o emerito, è valido solo ciò che ha scritto di suo pugno, si dovrebbe annullare gran parte del magistero di San Giovanni Paolo II, che non poche volte ha avuto il cardinale Ratzinger come ghostwriter.

Impossibile pure obiettare che Wojtyla si sia servito di persone che scrivevano al suo posto solo per udienze e catechesi e mai per i più alti atti magisteriali del suo ministero. Solo per fare due esempi, le encicliche, ovvero i documenti più importanti nella letteratura di un Pontefice, Veritatis splendor, citata da Benedetto XVI nel suo scritto sulla pedofilia, e Fides et ratio devono molto della loro stesura proprio a Ratzinger. Così come è noto che per i suoi libri, tutti dei bestseller, San Giovanni Paolo II sia stato aiutato da diversi collaboratori. In primis da Gian Franco Svidercoschi che fu determinante per la stesura di Dono e mistero, scritto per il 50esimo di sacerdozio del Papa polacco. 

L’ultimo Pontefice a scrivere tutto di suo pugno è stato San Paolo VI, che il martedì non fissava mai nessun appuntamento proprio per preparare scrupolosamente la catechesi che avrebbe tenuto l’indomani all’udienza generale. Una consuetudine iniziata da Pio XII, ma ripresa in forma stabile e continua proprio da Montini. Il suo diretto successore, Albino Luciani, preferiva, invece, parlare a braccio. Mentre San Giovanni Paolo II si serviva dei ghostwriter e così, molto spesso, utilizzava il martedì per le sue fughe sui monti abruzzesi.

Tornando al testo di Benedetto XVI sulla pedofilia, il Papa emerito precisa che “a seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su ‘Klerusblatt’ il testo così concepito”. “In realtà, – scrive Massimo Franco che ha ricevuto in anteprima il testo in italiano e lo ha pubblicato sul Corriere della Sera – Benedetto ha inviato le 18 pagine e mezzo sulla pedofilia ‘per cortese conoscenza’ al Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, prima della riunione globale delle conferenze episcopali, per farlo conoscere anche a Francesco. E con una lettera successiva a quel vertice, ha fatto sapere a entrambi di volerla rendere di pubblico dominio, ricevendo un via libera”.

“Non so – ha chiosato il cardinale Giovanni Angelo Becciu interpretando ipotesi largamente condivise nella Curia romana – se Papa Francesco abbia letto il testo. Ma Benedetto stesso ha scritto che ha chiesto il permesso al Papa”. È abbastanza risaputo che né in Segreteria di Stato, né al Dicastero per la comunicazione della Santa Sede era noto il contenuto del testo di Ratzinger. Così come la tempistica con la quale sarebbe stato reso pubblico. Tempistica, invece, ben nota a persone come l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e ormai aperto antagonista di Bergoglio, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Il giorno prima della divulgazione del testo, il porporato è partito per gli Stati Uniti dove è andato in tv per presentare lo scritto ratzingeriano. Che ci fosse dietro una sapiente regia comunicativa ai danni di Francesco? È molto probabile.

Ma anche ai danni di Benedetto XVI che ha spiegato il suo gesto in modo chiaro: “Avendo io stesso operato, al momento del deflagrare pubblico della crisi e durante il suo progressivo sviluppo, in posizione di responsabilità come pastore nella Chiesa, non potevo non chiedermi – pur non avendo più da Emerito alcuna diretta responsabilità – come, a partire da uno sguardo retrospettivo, potessi contribuire a questa ripresa. E così, nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio, ho messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo mo­mento difficile”.

Si potrà, infine, obiettare che il testo del Papa emerito è un documento che divide. Ma tutta la vita di Ratzinger è stata così. Basta citare la dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata durante il Grande Giubileo del 2000, che fu bollata come un testo che andava contro il magistero ecumenico di Wojtyla. Nulla di più falso, tanto che San Giovanni Paolo II, che aveva autorizzato la pubblicazione di quel documento, chiese proprio all’allora cardinale Ratzinger di scrivergli il testo dell’Angelus che avrebbe pronunciato per difendere la Dominus Iesus. Così avvenne. Ma molti commentatori scrissero che con quell’Angelus, Wojtyla aveva sconfessato Ratzinger e preso le distanze dal suo documento. Ignorando che a parlare, dietro San Giovanni Paolo II, era proprio quello che, appena cinque anni dopo, sarebbe diventato il suo successore.

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