Di tanto in tanto i venture capital e le banche prendono delle sole pazzesche: da Juicero (120 milioni) fino allo scandaloso Theranos (valutata miliardi), la lista è lunga. Tra crowdfunding, quotazioni all’Aim (la “piccola borsa” italiana), family officers, club deal è un brulicare di raccolte fondi anche in Italia. Mi domando se una start up non possa nascere e crescere partendo con pochi soldi raccolti, tanto lavoro, un modello che funziona e che, magari, riesce ad autofinanziarsi.

Ho trovato Massimo Chieruzzi, Ceo di Adespresso, partito con 10mila euro e  arrivato in cinque anni a farsi comprare da Hootsuite, colosso americano dei software aziendali. Due chiacchiere con lui valgono, a mio avviso, un Mba alla Bocconi. “Sono partito nel 2000, poco prima del crollo delle Dotcom – mi spiega – e dopo la crisi del 2001 lavorare in Internet era una cosa da sfigati. Ho continuato con la mia web agency, facevamo siti internet. Per una serie di causalità siamo finiti a fare i consulenti per alcune banche. Bei soldi, ma lavoro un po’ troppo ingessato per i miei gusti”. Per la cronaca, indossa una felpa leggera e un paio di jeans corredati da sneakers. Non è tipo da giacca e cravatta.

Nel 2007 passo epocale per Massimo. Tramite un annuncio di lavoro con cui cercavano sviluppatori, lo contatta eBay e inizia a collaborare con loro, che “all’epoca era una cosa figa” mi spiega “erano avanti dieci anni rispetto all’Italia”. C’era però un problema: eBay rappresentava il 95% del fatturato di Massimo. Così ha diversificato. In questo modo, quando eBay si è accorta che l’Europa non tirava (e ha chiuso), lui e la sua web agency sono andati avanti. E sin qui la prima fase della vita. Non che Massimo sia vecchio, beninteso, ma dopo un’esperienza con eBay in Italia, forse, ci si annoia un poco.

Nel 2010 fa un blog network, “un bagno di sangue” scherza Massimo. Ma scopre una cosa interessante: il costo per acquisire contatti in Facebook è basso (almeno, all’epoca lo era). Scopre anche che funziona ma che si perde tempo, quindi occorre una soluzione pratica. Per la cronaca, allora la maggioranza dei software disponibili per gestire pubblicità in Facebook era piuttosto costosa e, cosa ancora più rilevante, era strutturata per aziende medio-grandi. Non era adatto per il gruppo di Massimo.

Nel 2011 vende il blog network per fare due soldi. Cerca di capire cosa inventarsi per creare una piattaforma digitale, per gestire la pubblicità su Facebook, ma un prodotto fatto per i piccoli. Intanto conosce Armando Biondi, che poi diventerà il suo socio in Adespresso. Biondi ci investe su 10mila euro e poi comincia a spingere per partecipare in America a 500 startup. Insistendo alla fine decidono di prendervi parte e vincono l’opportunità di essere “accellerati” da 500 startup.

Per evitare falsi entusiasmi, non si diventa ricchi partecipando a 500 start up: ma ciò permette di interagire con un ambiente, quello americano, molto dinamico e più attivo rispetto a quello italiano. Più o meno avevano 40mila dollari, che nella zona di San Francisco vuol dire essere poveri. “La verità è che il mondo delle startup in California è un’orgia di contatti esperienze. Biondi è stato molto bravo a comprendere su chi e cosa valeva la pena investire tempo”, mi spiega.

Nel 2014 Massimo raccoglie un milione di euro. Ma guadagni in banca ancora deserti. Il gruppo tuttavia cresce mese su mese del 20-30%. Un abbonamento medio per i servizi era intorno ai 90 dollari, senza obbligo di rinnovo mese su mese. E trovare i clienti era sempre una sfida. Decidono di scrivere il loro blog aziendale. Un funnel lento ma passo dopo passo si sono creati quella credibilità stile “se devi capire come fare adv in Facebook leggi il blog di Adespresso”. Di lì i clienti.

Nel 2015 continua la crescita. Altri 1,2 milioni di fondi. Per avere ottimi programmatori e contenere i costi Massimo punta sugli italiani. “In Usa ogni sei mesi cambiano, costano molto e invero non sono meglio degli italiani, anzi. In Italia abbiamo definito degli stipendi più alti della media nazionale, benefit e contratti seri. Abbiamo tirato su un’ottima squadra di gente motivata”. Nel 2016 comincia la fase di avvicinamento con Hootsuite. Massimo mi spiega che Hoosuite aveva un’ottima soluzione per le grandi aziende, mentre Adespresso era adatta per i piccoli e non aveva commerciali, per certi aspetti una sinergia impeccabile. “Abbiamo passato oltre un anno tra alti e bassi e a dicembre abbiamo chiuso” conclude Massimo.

Quello che colpisce di Massimo è che ha una visione molto libera della tecnologia. La usa, non la mitizza. Partiti con 10mila euro e approdati con una cifra che Massimo preferisce non dirmi, mentre sorride sommessamente (le stime di esperti suggeriscono intorno ai 40 milioni di euro). Casi di start up così, a mio modesto avviso, servirebbero di più in Italia.

@enricoverga

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