Il dibattito sul cosiddetto reddito di cittadinanza ha dei toni onestamente surreali. Due giorni fa guardavo La7, DiMartedì, e sentivo concionare Concita De Gregorio sulla misura del governo. A un certo punto la giornalista ha detto che “se sei un giovane che ha bisogno vai a fare il cameriere” e – più o meno letteralmente – non ti prendi la “paghetta” di papà-Stato. Siamo alla solita retorica (di destra) del “rimboccarsi le maniche”, che presuppone un giudizio sulla platea di persone eventualmente interessate al RdC che è stato sintetizzato da un commento su Facebook fattomi da un amico: “Chi lo chiede è se va bene un parassita, se va male un truffatore”.

Il meta-giudizio che innerva questo ragionamento è che chi è povero in fondo se lo merita. Se lo merita perché non si è rimboccato adeguatamente le maniche, non si è dato da fare, non si è sacrificato, non si è voluto allontanare da mammà, e così via. Come se questo Paese avesse ancora bisogno di gente che se ne va, di un Sud che si spopola e si spolpa. La verità è che questi ragionamenti sottendono l’adesione a un’ideologia da tempo dominante, quella di un mondo di vincenti e competitivi in cui lo sconfitto deve essere bastonato e denigrato, e allo stesso tempo incitato a fare di più e di meglio, poiché se è stato sconfitto è colpa sua.

Di questa cultura ho scritto più volte qui, e ne ho scritto con riferimento ai “disinteressati consigli” dell’élite di questo Paese. Ricordo la vicenda della Confindustria di Cuneo, che suggeriva ai ragazzi di non inseguire ideali e sogni, ma di mettersi a fare gli operai. Ecco, mi pare che siamo ancora lì: non avete futuro perché siete stati dissoluti, avete sognato, volevate fare i filosofi, i sociologi, gli esperti di comunicazione, i giornalisti, o volevate semplicemente stare sul divano (che poi, per costoro, è la stessa cosa, salvo se lo fanno loro). Avete creduto alle promesse del neoliberalismo di essere imprenditori di voi stessi, che sareste stati felici e realizzati, e invece eccovi qua, falliti e poveri. E adesso volete la “paghetta”.

Ecco, potremmo iniziare con il dire – magari da sinistra – che la sconfitta non è una colpa? Oppure diciamo ai nostri figli di non prendersela se perdono a calcio, promuoviamo questa pedagogia secondo cui tutti ce la faranno, e poi nel mondo del lavoro siamo pronti a prendere a grucciate gli zoppi? Gli sconfitti della globalizzazione non sono né dei truffatori né dei parassiti, ma sono persone che – magari non tutte, certo – ci hanno provato, si sono trovate dentro meccanismi più grandi di loro, modificazioni epocali che li hanno resi scarti, rifiuti.

E non si tratta di difendere la misura del governo, che è insufficiente e che più volte ho analizzato per decostruirla, dal momento che non è un “reddito di cittadinanza” ma una sorta di trasferimento di moneta. Si tratta di smetterla con questo ghigno, con questo rictus dei commentatori che dalle loro belle poltroncine ironizzano sulla platea, sul numero di coloro che chiederanno di accedere al RdC, tanto che oggi qualcuno è quasi deluso dell’assenza di ressa alle Poste e ai Caf, mentre solo ieri ironizzava sui fannulloni che vorranno stare sul divano a non far nulla facendosi assistere. Come se peraltro – come ho già scritto – non fosse già indicativa una certa biforcazione del dibattito, che da un lato descrive la misura come assistenzialistica” e dall’altro come una spietata macchina del workfare dei poveri, che tende a organizzarli per fornire manodopera a buon mercato. Insomma, la misura di Schrödinger, contemporaneamente assistenzialistica e progettata per lo sfruttamento del lavoro.

La verità è che manca, dalla sinistra benpensante alla destra cinica, la cultura dell’eguaglianza e della redistribuzione. Si dice che il governo dovrebbe pensare a creare lavoro, non a “regalare” i soldi. Ma il dibattito più avanzato sul reddito di cittadinanza, quello vero, dice altro. Ci dice intanto che il reddito di cittadinanza in senso proprio è una misura incondizionata, che si dà a tutti al di là dell’impiego e del reddito, e che non è condizionato alla ricerca di un lavoro. Ma su questo nessuno dice “pio”: sono tutti concentrati a dirci quanto siano poltroni coloro che vogliono la “paghetta” dello Stato. E così persino una misura blanda, insufficiente, condizionata, equivoca a partire dal nome viene stigmatizzata e paragonata ai soldi gettati dalla finestra. Ma a sinistra dovrebbero sapere che la metafora dei soldi gettati con l’elicottero era di Milton Friedman.

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