Quando in dicembre per festeggiare i 25 anni dall’uscita è stato ristampato il disco dei Timoria Viaggio Senza Vento, Omar Pedrini non immaginava neppure che entrasse nella top ten degli album più venduti: “Autocitandomi, direi che è stato uno choc”, dice Omar, che si è poi convinto a organizzare un tour in solitaria per riportarlo sui palchi. “A dir la verità ero tra quelli che avrebbero volentieri riunito la band per ringraziare questo disco. Purtroppo gli impegni di tutti noi ce l’hanno impedito: Francesco Renga stava per andare al Festival di Sanremo, Diego Galeri è impegnato in un nuovo progetto. Io invece ho rimandato l’uscita del mio disco nuovo al prossimo anno, sentendomi dare pure del pazzo e del coglione dal mio manager, per dedicarmi anima e corpo a questa tournée. Dopo aver visto The Wall riportato in giro da Roger Waters e Aqualung e Thick As a Brick dal mio amico Ian Anderson, mi son detto perché non ci provo anch’io? In fondo questo disco è figlio mio, è sangue del mio sangue. E così, eccomi qua”.

Sold-out le prime 4 date, ora il sogno è farlo diventare un musical: “Sarebbe bello se uno dei registi italiani che più ammiro, tra Guadagnino, Costanzo o Calopresti accettasse la proposta. Del resto questa tournée è stata pensata proprio come un musical psichedelico e spero piaccia perché è un’opera molto impegnativa, due ore dritte e filate, dove non avrò tempo nemmeno per presentare le canzoni, perché sarà come assistere alla proiezione di un film, con le immagini che passeranno dietro di me, proprio come facemmo con i Timoria nel ’93. E poi una piccola confidenza: suonerò per la prima volta dal vivo il brano Angel, che scrissi quando morì Kurt Cobain e che ho ritrovato tra i nastri quando stavamo remixando il disco di Viaggio Senza Vento. La teniamo in chiusura dei concerti. Cantarla assieme al pubblico è emozionante”.

Le prime quattro date del nuovo tour, intanto, sono sold-out.
Significa che la gente ci crede, e che ha fiducia, e ora sta a me ripagarli. È bello sentirsi le farfalline nello stomaco anche a 50 anni, vuol dire che sei vivo, e che dai ancora l’importanza giusta alle emozioni, all’arte, e al pubblico che verrà.

Ci racconti Viaggio Senza Vento?
È la storia di Joe, che è sempre stato il mio alter ego, un ragazzo in crisi, un disadattato, fallito, drogato che siede fuori dalla chiesa e che viene quasi calpestato dalla gente che va a messa. È ignorato da tutti e a un certo punto decide di partire. Di lasciare dapprima la sua città, poi la Lombardia, per recarsi verso Oriente. Per rigenerarsi, per rinascere. Ed è un percorso che hanno compiuto alcuni dei  padri nobili di questo disco, che sono poi gli scrittori che leggevo all’epoca: Jodorowsky, Castaneda e su tutti Herman Hesse con Siddartha.  C’è un lungo percorso che gli farà attraversare tante città: calvinianamente ci sono la città del sole, la città dell’amore e la città della guerra che ho utilizzato per raccontare tutte le derive e le bellezze umane. Dopo aver attraversato queste città Joe arriva finalmente in Oriente per purificare la sua anima. Capisce l’essenza del pensiero orientale. Insegue l’armonia nel mondo. Così rinasce, ma decide di tornare perché la sua non è una fuga, e torna da guerriero. Da qui il nomignolo di Guerriero che mi hanno affibbiato i miei fan.

Qual è il segreto del successo del disco?
Con Viaggio Senza Vento sono riuscito a far sfogare quell’urlo imploso, che io identifico nell’Urlo di Munch, un grido espressionista, muto, che risolsi andandomene alla ricerca di spiritualità. Un rocker come me che dice ‘cerco dio, l’assoluto, cerco la natura’, che va  in oriente, è riuscito a far presa sui tanti che erano nella stessa condizione. Per questo molti hanno amato questo disco che è rimasto una pietra miliare del rock made in Italy.

Come riusciste a coinvolgere Eugenio Finardi e Mauro Pagani alla lavorazione del disco?
Essendomi messo in testa di uscire con un concept album andai a documentarmi su quelli che ne erano ‘i padri nobili’ italiani. E cominciai da Mauro Pagani, perché è bresciano come me, un ragazzo nemmeno di provincia ma di campagna. Gli dissi che quello che avevo in mente era il nostro Storia di un minuto. Avevo pensato di coinvolgerlo nel brano Lombardia, quello in cui Joe decide di partire all’alba. A Mauro il progetto piacque subito e decise di darci una mano perché riteneva il progetto coraggioso oltreché ambizioso. Eugenio Finardi, invece,  lo coinvolgemmo nel brano Verso Oriente che piaceva moltissimo ad Angelo Carrara, il nostro manager. Entrambi sapevamo che era un pezzo non adatto a Francesco Renga. Lui mi disse che forse avrei dovuto cantarlo io, anche se non ero del tutto convinto, perché mi consideravo una sorta di Pete Townshend italiano, che scriveva le canzoni ed era solo chitarra e cori. Angelo mi disse: ‘Omar, so che tu ami molto Finardi, gli ho fatto sentire la canzone ed Eugenio si è addirittura commosso’. Essendo un pezzo in cui parlo del tradimento di una donna, lui in quel periodo stava lasciando la moglie e quindi la sentì proprio sua.

Viaggio Senza Vento uscì nel 1993, in piena era Grunge. In quegli anni voi Timoria incrociaste anche alcune band grunge come i Pearl Jam, e i Soundgarden.
Con i Pearl Jam passammo insieme una serata e l’anno scorso avendo aperto il loro concerto a Milano ho avuto anche modo di salutarli. La prima volta che li incrociai fu nel ’91 quando  arrivarono in un locale chiamato ‘il Sorpasso’ che accoglieva 120 persone al massimo, piccolissimo. Noi eravano in studio a registrare dei provini quando il Llorca, il nostro bassista, mi dice ‘Omar ci sono i Pearl Jam al Sorpasso’. E io gli rispondo ‘E chi cazzo sono?’. Noi amavamo i Soundgarden e i Nirvana all’epoca. ‘Sono gli amici dei Soundgarden, quelli che hanno fatto con loro il disco Temple of the Dog!’. Non c’era Internet, per noi generazione senza vento, le notizie arrivavano così, dall’amico che andava in America o a Londra e portava dischi di gruppi sconosciuti in anteprima. Così assistemmo al loro concerto, era appena uscito il loro disco d’esordio Ten, e il brano Alive ricordò che mi conquistò immediatamente. ‘Questi sono dei grandi’, pensai. Finisce il concerto che eravamo seduti sotto al palco a fumare quando arriva il chitarrista Stone Gossard che ci chiede se avessimo qualche canna. Così insieme a Diego (Galeri, il batterista dei Timoria, ndr) e al maestro Enrico Ghedi (il tastierista) partimmo col furgone assieme ai Pearl Jam per cercare dell’hashish in piazza Vetra a Milano.

Hai conosciuto personalmente anche Chris Cornell: che ricordo hai?
Chris Cornell l’ho incontrato tre o quattro volte. Essendo stato un pioniere fra i musicisti a fare televisione, lo intervistai  per Match Music, emittente nazionale molto agguerrita e sperimentale. E infatti lui pensava che fossi un presentatore tv e non un rocker, infatti non glielo dissi mai che avevo una band, non avevo il coraggio. Sognavo di dirglielo un giorno e di invitarlo anche a suonare con noi, ma mi vergognavo troppo. L’ultima volta che l’ho visto si esibiva al Palatrussardi. Passai in camerino per salutarlo ma lo vidi in bruttissime condizioni. Non mi riconobbe neppure e ci rimasi malissimo. Mi resi conto che aveva dei problemi più seri. Purtroppo da quella volta non l’ho più visto.

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