Dopo l’Abruzzo è arrivata puntuale la Sardegna e la tabella della marcia funebre che scandirebbe il percorso del M5S di qui alle Europee viene tracciata quasi sempre con scomposto tripudio, più raramente con malcelata soddisfazione, da qualsiasi osservatore, analista, commentatore politico. Le prossime tappe: l’imminente round in Basilicata il 24 marzo e a seguire l’ultimo appuntamento regionale in Piemonte, accompagnato – almeno secondo i desiderata dei Sì-Tav – da un fronte che va da Salvini alle madamine targate Pd-FI fino al mega-partito trasversale del Pil. Non ultimo, il referendum piemontese che dovrebbe affossare i 5S contestualmente al voto europeo.

Ricordare, più o meno sommessamente, come ha fatto qualche tempo fa Massimo Fini che le urne aperte continuativamente finiscono per indebolire la democrazia invece che rafforzarla o che il voto regionale e amministrativo non è esattamente paragonabile a quello politico come ha tentato di fare Luigi di Maio nella conferenza stampa alla Camera suona, nel clima odierno, quanto meno obsoleto e pericolosamente demodé anche se la regola aurea per qualsiasi analisi dei risultati elettorali era e rimane la comparazione fra dati omogenei.

E’ altrettanto evidente che i numeri usciti dalle urne in Sardegna – con il candidato del centrodestra Christian Solinas al 47%, Zedda per il centrosinistra al 33%, Desogus all’11% ed il M5S come lista che scende al 9,7 dopo aver toccato il 42,5% alle Politiche del 2018 – non consentono nemmeno di archiviare una sconfitta, pur se annunciata e prevista anche se non nelle dimensioni effettive, con la considerazione del capo politico-vicepresidente del Consiglio che “le amministrative non hanno nessun impatto sul governo e sulla vita interna del movimento”. A cui ha voluto aggiungere il corollario: il problema è solo quello del mancato o insufficiente radicamento sul territorio e della riorganizzazione interna al M5S.

Lunedì mentre ancora si stavano aggiornando i decimali dei risultati in Sardegna nel laboriosissimo spoglio, anche a causa della teoria infinita di liste civiche negli schieramenti dei candidati sindaci di centrodestra e centrosinistra che secondo una consolidata tradizione includevano otto “impresentabili”, di cui tre eletti, imputati per concussione, droga e riciclaggio, il sondaggio settimanale di SWG per La7 che registra le intenzioni di voto per le politiche attribuiva alla Lega il 33,2% con una lievissima flessione dello 0,3% rispetto alla precedente rilevazione; al M5S il 22,6% con un incremento dello 0,5% e al Pd il 18,5% con un meno 0,1%. E per quanto può valere un sondaggio indicherebbe che, come dovrebbe essere ovvio e scontato, fare di un risultato locale dove storicamente il M5S è sempre stato svantaggiato in quanto movimento non strutturato e legato a temi identitari di politica nazionale e voto di opinione, finisce per essere una forzatura con la consueta dose di faziosità.

Allo stesso modo mi sembra quantomeno azzardato indicare i risultati di Abruzzo e Sardegna, dove il centrosinistra è arrivato secondo, come il segnale inequivocabile di un “rimescolamento epocale” che segna un’inversione di tendenza e una riscossa a sinistra. E comunque l’affluenza a queste primarie, rimosse e rimandate oltre ogni ragionevolezza e all’insegna dell’avversione più o meno ossessiva per il M5S e dell’ingombrante assenza del “senatore semplice” Renzi, ci farà capire molto presto quanto sia vitale e risanato il Pd dal punto di vista del suo elettorato.

Quanto al M5S è chiaro che qualche risposta sui circa 300mila elettori sardi che l’avevano votato alle Politiche e che domenica sono stati a casa o hanno preferito il centrodestra o il centrosinistra, pur tenendo conto di tutte le considerazioni sulla peculiarità del voto locale, se la deve dare e non può accontentarsi di avere eletto qualche consigliere comunale che in passato non aveva. Così come non basta ridimensionare tutto a “problema organizzativo” ma occorre, come aveva già caldamente consigliato Beppe Grillo, rimettere al primo posto i temi qualificanti del M5S come quelli ecologici e ambientali, la lotta alla corruzione che si è già in parte concretizzata con la spazza-corrotti da implementare ed il contrasto all’evasione non particolarmente evocato.

Per ora il suicidio di un M5S che avrebbe venduto l’anima al Mefistofele in felpa, che non ha nemmeno le phisique du role, pur di rimanere attaccato allo scranno governativo, a differenza di amici infinitamente più autorevoli di me, non l’ho ancora visto e mi auguro di non vederlo in tempi brevi perché non riesco ad immaginare alternative più allettanti alle condizioni date.

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