“Chiara x favore potresti chiarire la situazione del tuo intervento all’ospedale di Padova? Su molti social le persone sono divise e anche arrabbiate con la stampa perché la stampa dice che il reparto di oncologia pediatrica ha ritenuto inopportuno il tuo intervento nel loro reparto. Però poi tu hai pubblicato una foto smentendo la notizia senza chiarirla. Siccome poi altri giornali hanno spiegato che sei riuscita a fare la tua masterclass ma in un altro reparto, quello di ricerca,.. potresti scriverlo ai tuoi followers? Forse x te non importante, ma per i giornalisti, per il reparto che ti ha detto no, per le ragazze che ti seguono avere un po’ di chiarezza risolverebbe le cose. E poi sapere che anche se ricevi un no da qualcuno, ci può essere una strada alternativa, sarebbe un bel messaggio da dare a chi ti segue”. Questo lungo messaggio di Ideedibea inviato a Chiara Ferragni sul suo profilo spiega quanto sto per raccontare. Una vicenda emblematica del potere degli influencer di cambiare, e anche purtroppo manipolare, i fatti. Perché non si tollera un rifiuto, perché non si accetta che un ospedale possa decidere di proteggere i propri pazienti dal troppo clamore.

Ma veniamo ai fatti, appunto. L’azienda ospedaliera di Padova dice no a un evento proposto con Chiara Ferragni, una sessione di trucco con le pazienti del reparto di Oncoematologia pediatrica. Per alcune ora la notizia circola, sui social si scatena il dibattito, molti criticano la scelta dell’azienda, molti sono i giornalisti che chiamano l’Ospedale per sapere le ragioni del rifiuto. Nel frattempo la blogger tace. Decido di scrivere a favore della scelta dell’ospedale, non perché abbia nulla contro l’imprenditrice, ma perché mi sembra inverosimile che le persone non capiscano quanto poco opportuno possa essere un evento con minori malati postati su Instagram a 16 milioni di persone. D’altronde il direttore della Pediatria dell’Ospedale, Giorgio Perilongo, al Gazzettino di Padova aveva rilasciato questa dichiarazione: “C’è un confine molto labile tra la spettacolarizzazione e la compartecipazione alla sofferenza dei bambini. È richiesto molto discernimento per evitare che l’uno si trasformi nell’altro. Noi vorremmo che tutti venissero a far festa assieme ai nostri pazienti: dal Presidente della Repubblica al calciatore. Solo che non possiamo, perché scatta un meccanismo di difesa. Non siamo un’agenzia di eventi, ma un’azienda sanitaria”. Parole di una chiarezza, e saggezza, infinite. D’altronde stiamo parlando di un’azienda ospedaliera enorme, con 5.000 professionisti sanitari, 17.000 passaggi ospedalieri giornalieri, 45.000 interventi. Una realtà internazionale, anche, con pazienti che arrivano da tutta Europa. 

Dopo qualche ora, sul profilo Instagram della Ferragni compare una foto con un gruppo di ragazze, alcune delle quali portano un cappello. La blogger annuncia che la Masterclass di trucco è avvenuta con “i pazienti dell’istituto pediatrico oncologico di Padova” e che si è parlato di autostima e forza. Nessun tag con il nome dell’istituto, nessun chiarimento sul rifiuto dell’Ospedale di Padova. La maggioranza delle persone si confonde. Crede che alla fine la Ferragni sia andata a incontrare le pazienti. Sui social migliaia esultano della decisione finale dell’ospedale e attaccano i giornalisti che la Ferragni stessa aveva attaccato in una Stories. Lei non commenta. Ma cosa è successo veramente?

La blogger non è mai andata all’ospedale di Padova ma ha dirottato il suo evento all’Istituto di ricerca padovano, la Città della Speranza, “un luogo non medico”, lo definisce lo stesso Il Mattino in un articolo. Chi sono le ragazze? Molto probabilmente ex pazienti, alcune guarite, altre in cura di mantenimento, forse maggiorenni. Ma appunto, la foto è costruita in modo da confondere, perché non indica il luogo né spiega l’accaduto. Tanto è contraddittorio il tutto che il giornalista che passa l’articolo del Mattino dove si parla della visita al centro di ricerca fa una didascalia e scrive: “La Re Mida del marketing digitale non ci ha pensato un attimo a rispondere all’appello del reparto di oncoematologia di Padova”. Come se appunto la Ferragni ci fosse andata.

Sul suo profilo, la blogger ha parlato di “cagate che scrive quotidianamente la stampa”, invitando le persone a non credere a quello che leggono on line. Ma la verità non l’hanno distorta i giornalisti. Quei giornalisti che, tra l’altro, scrivono su di lei quotidianamente frasi incensanti, come ho scritto qualche mese fa. Come se questi influencer non stessero cambiando la testa dei nostri figli e persino noi stessi, trascinandoci in un mondo dove ogni azione, anche di beneficenza, deve essere postata a milioni di persone perché nulla si fa gratis (mentre ci sono decine di associazioni che in ospedale giocano e aiutano i pazienti e sì, anche, con sessioni di trucco). Invece a ben 16 milioni di persone è arrivato un messaggio contraddittorio, una sorta di mezza fake news. Una foto dove si pubblicizzava il proprio atto benefico senza neanche degnarsi di scrivere il nome dell’istituto che lo stava ospitando e generando una totale confusione su ciò che invece è realmente accaduto.

Si poteva accettare il no, comprenderlo, ringraziare lo stesso l’ospedale, spiegarlo alle persone. Ma avrebbe significato accettare che ci sono ambiti che non possono essere messi su Instagram come se nulla fosse, che realtà e sua rappresentazione mediatica non sono la stessa cosa. Per questo il no dell’ospedale è stato importante. Perché ha ricordato a tutti noi che la vita non è spettacolo, che la malattia ha diritto al rispetto più totale. E anche a un sostegno, certo, ma che non siano due ore di trucco di una star circondata da guardie del corpo, che arriva in un van nero e poi si dilegua lasciando come unico ricordo un’immagine digitale in cui le persone ritratte sono unicamente funzionali a celebrare lei stessa.

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