Non so se diventerà un caso nazionale ma la guerra torinese contro il “suq” al Balon dovrebbe avere un evidente rilievo politico, è una variante diversa e creativa (ahimè) delle paranoie securitarie e xenofobe che circolano per il paese. E la crociata è per cacciare i venditori poveri e stranieri. Il Balon è un mercato delle pulci erede di una tradizione storica, anche se gli adiacenti antiquari un po’ più chic rivendicano l’esclusiva della tradizione. Ma al di là delle disquisizioni sul Balon più storico, si tratta di una realtà legale e consolidata da quasi vent’anni, con centinaia di espositori, perlopiù modesti recuperatori di oggetti (vestiti, libri) da cantine solai e traslochi, presenti tutti i sabati tra Canale dei Molassi e piazza San Pietro in Vincoli. In maggioranza sono di origine rom o magrebina, non mancano italiani di una certa età e giovani richiedenti asilo.

Organizzata e regolamentata come “libero scambio” da Ilda Curti con la Giunta Chiamparino, questa realtà ha garantito vitalità, convivenza e un modesto ma indispensabile reddito per i venditori, per lo più disoccupati. Da un paio d’anni a questa parte, in coerenza coi tempi che viviamo, è cresciuta sempre di più la voce di un comitato di commercianti e di residenti “anti suq”, che ha conquistato prima l’appoggio (facile) della destra di quartiere e cittadina, poi l’appoggio di quartiere e parzialmente del Pd, infine, dopo una lunga resistenza, anche della sindaca e quindi del Comune che ha intimato pochi giorni fa agli ambulanti del sabato di spostarsi da Borgo Dora in un’area periferica.

E’ una operazione di chirurgia rozza e senza anestesia: questo pezzo del Balon è parte integrante di un grande flusso popolare del sabato che comprende le bancarelle delle vie adiacenti del Balon/Borgo Dora e il mercato di Porta Palazzo. E’ la “vasca” cosmopolita e popolare della metropoli, il grande passeggio della folla variopinta e intergenerazionale che compra e si incontra. E’ diventato anche il punto in cui si incrociano i migranti recenti, i ragazzi africani richiedenti asilo che passano qui da mezzo Piemonte. Si dice – alcuni studiosi e giornalisti lo sostengono con competenza – che lo sgombero e l’allontanamento di questo mercato delle pulci e quindi della parte più immigrata e povera del Balon sia coerente con i progetti di “gentrificazione” del quartiere, da destinarsi a un eventuale pubblico più chic e danaroso, meno numeroso.

Le motivazioni del movimento anti-suq cresciuto fino a conquistare la Giunta comunale sono state, formalmente, il degrado, la sicurezza, la legalità: ma si sta parlando di un mercato con un servizio di pulizia finale, con un servizio d’ordine, controllato dai vigili. Certo, un mercato fatto principalmente da poveri per i poveri ma in una zona centrale, storica cruciale: non un ghetto. Allontanandolo, invece, si rischia proprio questo, una piastra recintata accanto al Cimitero, dove non passa nessuno.

Sabato 19 gennaio questo mercato avrebbe dovuto traslocare ma tutti (tutti) gli ambulanti si sono rifiutati continuando a lavorare nella stessa sede, anche se non più autorizzata e ormai senza servizi. La ribellione si è ripetuta sabato scorso ma ora Appendino ha detto che non tollererà più. C’è chi parla di salvinismo di fatto, chi pronostica sgomberi e scontri. La città, che di fronte al problema dell’ex villaggio olimpico occupato da profughi e migranti ha mantenuto un metodo di negoziati e mediazione, questa volta sembra tagliare con l’accetta l'”escrescenza sociale”. Ma c’è chi disobbedisce…

Post scriptum. Il mercato in questione che il Comune ha deciso di cacciare è in un certo senso una sua stessa creatura, sulla quale e per la quale lavorano da anni dei funzionari comunali e che –  – secondo quanto riferitomi dal vicepresidente di Vivi Balon, Alessandro Stillo – rende anche 100mila euro annui alle casse comunali. La svolta è dettata tutta solo ed esclusivamente da motivi politico-psicologici esterni al merito della vita del mercato.

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