Poche centinaia di metri separano la Sea Watch 3 dalla riva. Una distanza irrisoria per chi ha attraversato chilometri di deserto e il mar Mediterraneo su imbarcazioni fatiscenti. Eppure, quei pochi metri rappresentano una distanza enorme che separa due mondi, due possibili vite. L’arrivo in Europa o il rischio del ritorno nei lager libici. Una distanza amplificata dallo schieramento di mezzi navali che isolano l’imbarcazione e che impediscono anche a deputati, avvocati e attivisti per i diritti di avvicinarsi.

La nave e l’umanità dolente che trasporta è, da giorni, alla fonda del porto rifugio della capitaneria nell’area industriale di Siracusa. Guardandola da riva si notano sullo sfondo le ciminiere e le luci del più grande stabilimento petrolchimico d’Europa. Lì, tra Priolo ed Augusta, dove si registra un’incidenza delle morti per tumore del 10% più alta rispetto alla media nazionale e del 20% con riferimento al solo tumore polmonare. Lascito del sogno industriale della provincia di Siracusa, ora in default e priva dei soldi per intervenire sulla sconquassata viabilità interna.

Da Siracusa, come dal resto della Sicilia, si scappa. Si parte per cercare lavoro e fortuna nel nord del Paese o varcando i confini nazionali. Partono giovani laureati e intere famiglie, mentre i paesi dell’interno si spopolano e diventano luoghi fantasma.

Questo è lo scenario che fa da quinta all’ennesima battaglia simbolica ingaggiata da Salvini, con il M5s a fare da comparsa, contro le ong. Simbolica perché non sono certo i 47 a bordo della Sea Watch 3 il problema della Sicilia e del continente. Simbolica perché sulla loro pelle Salvini vuole la rivincita dopo la vicenda Diciotti.

In questo scontro al grido di battaglia di “prima gli italiani” scompare lo sfondo, scompaiono i diritti, scompare anche l’umanità. Tanto da portare il ministro degli Interni a usare una foto della prima giornata di sole tiepido, dopo giorni di tempesta, per irridere i poveri naufraghi a bordo. Fingendo di non sapere quale sia il carico delle storie documentate dai medici che hanno potuto, prima del blocco, visitare e parlare con chi si trova a bordo. Storie terribili di morte e violenza, di fratelli uccisi, di tagli e segni di catene.

Tutto questo per il governo semplicemente non esiste. Esiste solo la battaglia per evitare lo sbarco di 47 poveri cristi allo stremo delle forze che, semplicemente, non capiscono il perché di una così assurda situazione.

Allo stesso modo, non capiscono coloro che, a centinaia, da giorni si danno il cambio al presidio organizzato nell’area della Targia. Tra loro gli stessi che da anni combattono contro l’inquinamento industriale e le morti nell’area siracusana. Come a ricordare quali siano le vere emergenze di Siracusa, Priolo, Augusta e di una larga parte della Sicilia.

Famiglie e militanti, esponenti dell’Arci e di Emergency, mondo cattolico e semplici cittadini sembrano aver capito, con una naturalezza inimmaginabile, come i 47 siano una cortina fumogena per non affrontare emergenze e problemi. Compiendo un salto di qualità essenziale che pone il tema dei diritti umani di chi scappa dalla fame e dalla guerra nello stesso insieme dei siciliani che scappano da disoccupazione e arretratezza. Che sarebbe, poi, quello su cui una seria opposizione dovrebbe lavorare per ricostruire una speranza e una proposta.

Un governo indifferente – che addirittura irride la sofferenza di chi viene da anni di detenzione dentro i lager libici – difficilmente sarà più attento alla sofferenza di una Regione che sprofonda. Ma per Salvini e i suoi è più semplice respingere 47 esseri umani che affrontare la vera emergenza sociale di questo Paese.

Intanto così come sospesi stanno in 47 su una barca in attesa di sbarcare e sospesi restano 5 milioni di siciliani su un’isola da cui si scappa.

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