Si chiamava Massimo Aliseo, 28 anni, ed è stato il primo morto sul lavoro del 2019. Ad ucciderlo è stata una bombola ad ossigeno scoppiata in uno stabilimento ad Agrigento. A denunciarlo, come sempre, Marco Bazzoni, un operaio toscano che ha dedicato la sua vita a questo impegno civile. Qualche ora dopo altri nomi cominciavano a comporre il lungo elenco destinato, anche nel 2019, ad allungare l’immenso cimitero che ospita i caduti sul lavoro e da lavoro.

Nel solo 2018, secondo il rapporto presentato dall’Osservatorio indipendente di Bologna diretto da Carlo Soricelli, i morti ufficialmente registrati dall’Inail sono stati 703, ma quelli che comprendono anche i lavoratori non assicurati, gli irregolari, gli immigrati senza diritti, quelli che muoiono durante il trasferimento in auto da casa al lavoro, sono stati 1450. Numeri che continuano a crescere e che indicano il persistere, nel variare dei governi, di una sostanziale indifferenza verso questa strage che ci colloca, in Europa, tra i paesi con il più alto numero di vittime e di invalidi sul lavoro.

Eppure questa emergenza non suscita indignazione, a nessuno viene in mente di chiedere “Tolleranza zero”, non si invocano né ruspe, né pugno di ferro. Le morti sul lavoro non servono ad acchiappare voti non interessando agli “spaventatori” per vocazione e professione. Sul lavoro e da lavoro muoiono, ogni giorno, donne e uomini di ogni colore, di ogni fede, di ogni nazionalità, senza distinzione alcuna. In molte occasioni muoiono perché bisogna risparmiare sulla sicurezza, perché si procede di subappalto in subappalto, perché la vita di un raccoglitore di pomodori vale qualche euro appena, specie se non ha contratto e diritti.

Le morti sul lavoro non riguardano l’ordine pubblico e, dunque, non si possono contrastare a colpi di pistole e di propaganda, piuttosto riguardano l’ordine sociale e richiedono la volontà di colpire interessi costituiti, di intervenire nel merito dei processi produttivi, di potenziare la contrattazione e di rafforzare il ruolo degli ispettori e dei delegati alla sicurezza, veri “eroi civili” dei nostri tempi.

Contrastare le morti sul lavoro significa affrontare la “questione sociale”, la grande rimossa dai governi degli ultimi decenni, di ogni natura e colore politico. Sino a quando questa volontà non ci sarà il lungo elenco delle vittime è destinato ad aumentare, di anno in anno.

Forse potremmo cominciare a non abituarci alla strage, a dare rilievo mediatico ad ogni singola tragedia, a dare sempre il nome e cognome delle vittime, a non chiamare “morti bianche” quelle che sono morti nere, figlie dell’oscurità e dell’oscurantismo, a raccontare le cause che precedono le troppe tragedie che restano senza verità e giustizia.

Chi volesse saperne di più si legga il rapporto annuale predisposto, con la generosità di una esistenza dedicata alle “vite degli altri”, da Carlo Soricelli.

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