Uno shutdown che potrebbe durare “mesi, persino anni”. Donald Trump conferma quanto il senatore democratico Charles Schumer aveva detto dopo l’ennesimo incontro infruttuoso alla Casa Bianca. Il presidente è pronto a tenere (parzialmente) chiuso il governo federale a tempo indefinito. O almeno, sino a quando i democratici non acconsentiranno alla sua richiesta di introdurre nel nuovo bilancio federale una misura di finanziamento del muro con il Messico. E dato che i democratici, al momento, non sembrano disponibili, 800mila dipendenti federali continuano a non percepire alcuno stipendio.

Era chiaro che la conquista della Camera da parte dei democratici avrebbe fatto esplodere nuovi contrasti con la Casa Bianca. Lo shutdown è il primo tra questi. Trump continua a mantenere ferma la sua richiesta al Congresso: cinque miliardi per finanziare il Muro. “Chiamatelo pure una barriera – ha spiegato giovedì, in un’apparizione a sorpresa in sala stampa -. Chiamatelo come volete. Il succo è che il nostro Paese ha bisogno di una protezione”. Due giorni prima il presidente era stato più preciso. Aveva spiegato che il Muro cui pensa è “una protezione in acciaio, molto più resistente di un muro in cemento.

I democratici non intendono però cedere alla richiesta. “Non costruiremo un Muro – ha spiegato Nancy Pelosi, la nuova speaker democratica della Camera -. Non ha niente a che fare con la politica. Ha a che fare con il fatto che un muro tra due Paesi è una cosa immorale. È un modo vecchio di pensare. E non è efficace”. I democratici non segnalano soltanto il fatto che il Muro (peraltro già in modi diversi presente in molte aree di confine con il Messico) non riesce davvero a bloccare gli arrivi di irregolari. Il senatore Patrick Leahy ha precisato infatti anche che “negli ultimi due anni, il Congresso ha stanziato 1,7 miliardi di dollari per costruire o rimpiazzare le protezioni sul confine meridionale, ma l’amministrazione ha speso una parte minima di quel denaro”. In particolare, sarebbe stato usato solo il 6% del denaro stanziato. Perché dunque, si chiedono i democratici, decidere nuovi finanziamenti?

Il problema è che sulla questione del Muro – e in generale sull’immigrazione – Trump gioca molto del suo presente e del suo futuro politico. Come già in campagna elettorale, l’immigrazione è il tema che riesce a mantenere alto il livello dello scontro e a mobilitare la base elettorale che ha decretato il suo successo. Trump continua a insisterci, in un momento peraltro per lui non facile, in cui l’economia pare rallentare e la futura agenda politica è messa sempre più a rischio dal controllo democratico della Camera. I repubblicani, peraltro, sembrano tirarsi fuori dalla contesa. Mitch McConnell, il capogruppo al Senato, si è distinto per la sua assenza dal dibattito. Nelle ultime ore è riemerso, spiegando che i repubblicani del Senato non sosterranno alcuna misura che non sia poi firmata dal presidente: il riferimento è alla proposta democratica di rifinanziare il governo federale (tranne il Dipartimento alla Sicurezza Nazionale, quello interessato alla costruzione del Muro) fino all’8 febbraio, mentre i negoziati con la Casa Bianca vanno avanti.

Nelle ultime ore sono però stati alcuni tra gli stessi repubblicani a chiedere che si trovi una soluzione temporanea. “Dobbiamo passare una risoluzione per mantenere aperto il governo”, ha spiegato Cory Gardner, repubblicano del Colorado. La proposta è stata appoggiata dall’anima moderata dei repubblicani del Senato, Susan Collins del Maine. Ma Trump insiste: “Non ci sarà alcuna riapertura a pezzi del governo federale”. O tutto o niente, quindi, secondo il presidente, che nelle ultime ore ha introdotto un’altra possibile – ed esplosiva – proposta: quella di dichiarare lo stato di emergenza per poter finanziare il Muro senza dover passare dal voto del Congresso. Una proposta che avvelena ancor di più il clima politico e allontana una soluzione.

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