di Cristiano Lucchi*

Lo stadio Artemio Franchi di Firenze può ospitare 43.147 persone. Gli sbarchi di richiedenti asilo, profughi, migranti nel nostro Paese dal gennaio di quest’anno a oggi sono stati 23.011 (dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni). Se tutti gli stranieri arrivati in Italia nel 2018, e solo loro, andassero a vedere una partita della Fiorentina si tratterebbe di un vero e proprio flop, di un match con enormi vuoti sugli spalti, di un’occasione persa per il botteghino della squadra viola. Eppure.

Eppure quelle stesse 23.011 persone sono diventate il cuore della battaglia politica italiana. Su di loro si gioca una partita enorme: quella del potere e del governo del Paese. Termini come “invasione”, “allarme”, “emergenza”, “sostituzione etnica”, “sicurezza”, “criminalità”, “malattie” riferiti al fenomeno migratorio occupano – e hanno occupato ancor di più nei mesi precedenti le elezioni politiche del marzo scorso – le pagine dei quotidiani e i palinsesti televisivi: soprattutto i programmi delle fasce pomeridiane dedicate alle “famiglie”, il cosiddetto infotainment. E di conseguenza i social, a iniziare da Facebook che non produce contenuti ma ne è un formidabile propagatore: per infamare un “negro” oggi basta un like o una mera condivisione.

La responsabilità è chiara ed è tutta a carico di due mestieri: quello del politico e quello del giornalista. Per essere più precisi, e per non screditare due tra le funzioni più nobili nelle democrazie, i “cattivi politici” e i “cattivi giornalisti”, come li avrebbe definiti Ryszard Kapuściński. Sono loro a creare la “paura” dove la paura non c’è, sono loro a utilizzare elettoralmente e come modello di business editoriale parole e fenomeni che in condizioni normali sarebbero assorbiti senza problemi da un Paese di 60 milioni di persone e da un continente con 500 milioni di abitanti. Sono loro gli “spaventatori” a cui dobbiamo dire basta. Su cui deve ricadere il nostro stigma sociale, un’arma molto potente per isolare i “cattivi” di quest’epoca. Dobbiamo imparare a discriminarli, emarginarli, allontanarli dal dibattito pubblico. Dobbiamo saper boicottare contenuti lontani dalla nostra civiltà e dalle regole comuni che abbiamo imparato a darci dopo l’abominio dei fascismi e delle guerre mondiali.

Dobbiamo, in altre parole, cominciare a essere “razzisti” verso quella politica e quel giornalismo che campa sulle tragedie dell’umanità. Gli “spaventatori”, termine meritoriamente coniato dal VI rapporto della Carta di Roma Notizie di chiusura, devono trovarsi soli e parlare al vento, figli di una “razza inferiore” che – ma è solo un esempio – tradisce e rifiuta i principi fondanti della Dichiarazione dei diritti umani. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti”, scrivevamo nel 1948. Oggi dobbiamo lottare più che nel passato per ribadirlo. Lo dobbiamo ai migranti in cerca di fortuna nel Nord ricco del mondo, ma soprattutto alla nostra residua dignità.

*giornalista e attivista di perUnaltracittà

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