Cinema

Torino Film Festival 2018, Nicolas Cage è un insanguinato e furioso boscaiolo in Mandy. James Franco presenta in anteprima mondiale Pretenders

Opera lasciata marcire in qualche cassetto di damnatio memoriae, viste le stigmate di Franco, che qui, oltretutto, in questo triangolo godardiano alla Band a part (o se siete truffautiani alla Jules e Jim) si permette anche parecchie considerazioni sul ruolo di “preda” della donna nel contesto produttivo/creativo del cinema hollywoodiano

di Davide Turrini

Dov’è finito Nicolas Cage? Per chi fosse dalle parti di Torino, nella sezione strong Afterhours del 36esimo TFF, il nipote di Francis Ford Coppola è l’insanguinato e furioso boscaiolo protagonista di Mandy. Un horror spudoratamente gore, venato di cieli fantasy, sciolto nell’acido di sadici biker e demoniaci hippie che compiono violenti riti satanici. Sembra esserci una gran pace nella foresta dove Red (Cage) e Mandy (Andrea Riseborough, vista in Birdman) vivono sereni con tanto di stanza da letto del loro chalet con pareti a vetro in mezzo al bosco. Lui, appunto, è un boscaiolo (e tutto torna, proprio nella maneggevolezza di seghe elettriche e asce); mentre lei, maglietta nera dei Black Sabbath, romanzetti fantasy sempre in mano, e una apparente doppiezza sinistra, gestisce un piccolo store.

All’improvviso passa però da quelle parti una specie di “Manson famil” che coadiuvata da un terzetto di motociclisti che sembrano usciti da Hellraiser rapisce per un sacrificio la pur grintosa e strafottente Mandy. Red rimane appeso, legato con il filo spinato, e assiste perfino alla carbonizzazione della compagna. Chiaro che appena liberatosi la vendetta sarà spietata. Ed è qui che il regista Panos Cosmatos (figlio di quel George Pan Cosmatos autore di cult come Cassandra crossing e Cobra) sopravanza con un balzo creativo impressionante il padre. Se già nella prima ora di film gli sfondi si squagliavano e trasfiguravano in fondali sci-fi alla Boris Vallejo, ecco che nella seconda parte ogni verosimiglianza salta sarcasticamente per aria. Intanto Cage che si libera dai legacci e rimane per almeno due minuti a figura intera in mutande e calzini.

Insanguinato fino ai piedi, tumefatto, si scola una bottiglia di vodka e se la versa sulle ferite, poi forgia perfino una spada/ascia a più punte. Ma è solo l’inizio di un tour de force prolungato e cruento, in cui perdiamo coordinate temporali e spaziali, accumulando set come livelli da videogame, seguendo ogni più aspra, brutale e sanguinolenta vendetta del protagonista. Un tizio viene ucciso con una balestra, un altro squartato con la sega elettrica, un altro ancora schiacciandogli la testa tra le mani. Per non spoilerare troppo possiamo però dire che c’è un gesto dissacrante compiuto proprio da Mandy prima di essere uccisa che depotenzia la crudeltà psicologica delle uccisioni della seconda parte del film. Lasciando comunque intatta in superficie la sinfonia estetica di rosso grondante, pixel che si sciolgono grazie anche ad un sistema di ripresa di Cosmatos (ci pare pellicola poi diventata digitale, ma non troviamo conferma) chiamato “panaflares” (ovvero puntare piccole luci a Led verso l’obiettivo in modo da ottenere una sgranatura e un effetto lattiginoso), e la sbracata, tamarra, sarcastica e invincibile performance di Cage. Ambientato in un metaforico 1983, in cui alla radio si parla di rinascita spirituale, i King Crimson vengono pompati sui titoli di testa, poi si apre il rubinetto sonoro di un eco fantastico proveniente dalle viscere della terra (composto dal defunto Johann Johannsson – Sicario, Arrival). Mandy è un film consigliatissimo per gli amanti dell’horror, ma anche per chi ha voglia di farsi sorprendere visivamente nelle ricomposizione di sfondi e scenari originali come solo i grandi del genere hanno saputo fare.

Altro “chi l’ha visto?”, con risposta positiva da Torino, è James Franco. Travolto da accuse e fango #MeToo il regista statunitense presenta al TFF, sezione Festa Mobile, in anteprima che abbiamo verificato è addirittura mondiale, l’eccellente Pretenders. Uno dei tanti, fitti titoli che Franco ha accumulato nella bulimia accademica e cinefila degli ultimi quindici anni di carriera da regista e di “studente” di cinema. Opera lasciata marcire in qualche cassetto di damnatio memoriae, viste le stigmate del nostro, che qui, oltretutto, in questo triangolo godardiano alla Band a part (o se siete truffautiani alla Jules e Jim) si permette anche parecchie considerazioni sul ruolo di “preda” della donna nel contesto produttivo/creativo del cinema hollywoodiano. Anche in Pretenders il salto temporale è sul finire degli anni ’70 con il romantico e tormentato Terry (Jack Kilmer) che dentro una sala cinematografica dove proiettano La donna è donna con Anna Karina viene travolto dall’apparizione davanti a lui di Catherine (Jane Levy). Ci fa due parole, la perde, la cerca, e grazie all’auto del più spigliato e donnaiolo compagno di studi, il fotografo Phil (Shameik Moore) la ritrova: solo che il rapporto sentimentale e sessuale da lì in avanti si dividerà a tre. Se Terry in Catherine vive l’ossessione cinematografica basica della musa ispiratrice e dell’amore della vita, Phil è quello più prosaico e ne diventerà marito.

Sensuale, citazionista (Ultimo tango a Parigi a go-go, ma tanto tantissimo Godard), Pretenders attraversa gli anni settanta e ottanta e ne fa percepire in maniera tattile le trasformazioni estetiche in campo artistico (divertentissima la gag dei commentatori all’università con il “criticone” che eccede sempre nel bene e nel male, e la ragazza femminista che vede ogni fotogramma come sguardo dell’uomo). Un film sul desiderio personale e la creazione artistica, sull’amicizia squilibrata e l’identità sfuggente di una “femme fatale” molto Nouvelle Vague che con la sua eccessiva personalità aziona di continuo il meccanismo della mise en abyme del racconto, di quel cinema nel cinema che sembra narrativamente non finire mai di sgorgare. Franco in questa attitudine totalizzante, in questo slancio stilistico sperimentale (sfuocare i contorni sarà risaputo ma in Pretenders diventa elemento fortemente significante) dà metri a tanti attori passati dietro la macchina da presa.

Il suo cinema vive, pulsa, scalpita, colpisce, non lascia mai indifferenti. Anche quando chiaramente fa capire che del “patto” sottile e discutibile tra attrice e registi sul set, che poi chiosa con una mirabile battuta, non se ne esce: “Tutti i registi si innamoravano delle loro attrici, Godard con la Karina, Allen con la Farrow (e la Keaton), Rossellini con Ingrid Bergman, Ingmar Bergman con tutte le sue attrici”. Insomma, chi non ha peccato scagli la prima pietra. Intanto Pretenders giace senza nemmeno un trailer disponibile online, dimenticato da dio e dal mondo hollywoodiano. Pregevole il folgorante cameo di Dennis Quaid.

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