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Via via, Manila si sgretola. Letteralmente. Andando verso la periferia, le case diventano sempre più scalcinate, i muri marci. E poi ferro e amianto, invece che cemento e mattoni, e poi pannelli di compensato, e poi rifugi di fortuna. E poi Tondo. Che è il più esteso slum di Manila, ha 600mila abitanti. E questi tuguri che non sono neppure costruzioni di lamiera e iuta come nei campi profughi: sono assemblati di materiali di ogni tipo, non c’è parete che sia un pezzo unico. Pile di cassette della frutta, di bottiglie di plastica, segnali stradali, travi e pali e tubi. Un ritaglio di prato sintetico. Un trancio di cisterna. Non hanno stanze. Spazi regolari. Intravedi solo delle cavità buie e umide. Sono spazi senza logica apparente, a due piani in un certo senso, o comunque con un sotto e un sopra: ed è tutto così confuso, così promiscuo che all’inizio vedi degli abiti in fila su delle grucce, e pensi siano in vendita, pensi sia un negozio, e invece è il bucato steso ad asciugare, vedi tavoli e piatti e gente che viene e che va, e ti siedi e ordini del riso anche tu – e invece non è un ristorante, è una cucina.

Padre Carlo, missionario canossiano originario della provincia di Treviso, vive qui da oltre 30 anni. E nella sua chiesa di san Paolo apostolo, l’unico luogo di ritrovo di Tondo, organizza tutto l’organizzabile. Perché Manila ha un sindaco, sì, ha un’amministrazione comunale. Ma ha 22,7 milioni di abitanti, 16 distretti e 897 barangay, che sono un po’ l’equivalente delle nostre circoscrizioni: e sostanzialmente, ognuno si arrangia come può. Ogni barangay, ma anche ogni famiglia. Chi abita a Tondo è troppo povero per emigrare. Non ha lauree, diplomi. E l’emigrazione nelle Filippine è regolamentata dallo Stato, gestita da agenzie di collocamento che selezionano solo lavoratori qualificati. Si vive di rimesse dall’estero, qui. O più spesso, di furti e spaccio. O si fruga nella spazzatura.

Appena ti addentri un po’ non c’è più l’asfalto, e tanti girano scalzi nella melma fino alla caviglie. Tondo è anche una delle discariche di Manila, una delle più tossiche, una delle più scenografiche, la preferita dai turisti in cerca di miseria e folklore, si vive senza acqua, qui, senza fogna, senza niente, al più con un allaccio abusivo alla rete elettrica: e questa è la Tondo dei ricchi. La Tondo vera inizia un metro più sotto. E infatti è praticamente a filo d’acqua, in bilico su palafitte marce. Siamo sulla baia di Manila, e c’è questa specie di cunicolo che fende dritto un cumulo indistinto di persone, cose, animali, in un tanfo così denso che a tratti vomiti. La pioggia, qui, non allaga: sommerge. Le Filippine producono solo lo 0,3% delle emissioni mondiali di anidride carbonica, il 20,9% arriva dagli Stati Uniti: ma sono uno dei Paesi più esposti al cambiamento climatico. Nei prossimi anni, saranno colpite 703 città su un totale di 1610.

Già ora, a Tondo nella stagione dei monsoni si sta in acqua. Anche se in realtà il mare, a Tondo, sembra più una palude. Una palude in cui galleggia di tutto. E la sponda di fronte è una fila di depositi di carbone. Con il vento, si ricopre tutto di polvere nera, qui. Un occidentale, vaccini e tutto, non potrebbe sopravvivere: nessuno di noi ha più difese immunitarie per luoghi così. Luoghi in cui si muore ancora di tubercolosi. Ma padre Carlo non si scompone. L’Africa, dice, è molto più dura. “In Africa non hai spazzatura. Perché non hai niente da gettare via”.

Stare a Tondo non è semplice, dice padre Graziano, che è qui da pochi mesi. Con la sua immensità, intesa come immensità di spazio, di popolazione, ma anche di problemi, Tondo ti fa sentire inadeguato, dice. Inadeguato, e al fondo irrilevante. Ma forse l’errore è proprio questo, dice. Venire qui un po’ come dei professionisti dell’aiuto: e avere un approccio solo tecnico alla povertà. Perché se vieni qui per combattere la povertà, finisci travolto. Ma in fondo, dice, la cosa più feroce della povertà non è tanto la privazione materiale, quanto l’emarginazione, l’invisibilità. L’essere nulla, più che il non avere nulla. E quindi, dice, è importante lasciare una moneta, sì, ma è ancora più importante fermarsi a parlare con un mendicante: e a parlare da pari a pari, un po’ come insegnava don Tonino Bello quando diceva: non è questione di organizzare mense, ma di aggiungere posti a tavola. “Includendo gli altri nella tua vita. Condividendo con loro quanto hai di più prezioso: il tempo. Perché solo un uomo a cui dai tempo, è un uomo a cui dai davvero valore”.

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