Quando qualcuno mi chiede se ho letto il libro di Marco Minniti Sicurezza è libertà. Terrorismo e immigrazione: contro la fabbrica della paura (Rizzoli, ottobre 2018, pp. 221, € 19) vorrei poter rispondere come Snoopy: «Il libro no, ma ho letto qualche recensione». Invece l’ho proprio letto, dopo averlo regolarmente comprato. Avendone scritto uno sull’argomento, ero stufo di non sapere cosa rispondere quando qualcuno me ne parlavano fingendo di aver letto entrambi. Così adesso scrivo questa pseudo-recensione, in palese conflitto di interessi. Ma non ne parlerò così male: sicché il paziente lettore potrà sempre chiedersi cosa avrei potuto dirne, se proprio avessi voluto parlarne male.

L’unico difetto è il titolo: Sicurezza è libertà. Mia madre – l’unica lettrice del mio libro – mi ha chiesto: perché non l’inverso, Libertà è sicurezza? Escluso, per naturale modestia, che Minniti abbia letto il mio libro e ne abbia rovesciato il titolo, suppongo che l’intitolazione corrisponda alla strategia dell’autore. Questa consiste nello sdoganare temi di destra come la sicurezza, dire che sono di sinistra e così convincere la gente che la sinistra può fare cose di destra molto meglio della stessa destra. Io sarò antiquato, ma continuo a pensare che se uno è di destra vota la destra, se è di sinistra vota la sinistra, e poi vince la destra, senza troppe complicazioni.

Invece Minniti, come tutti i dalemiani, è più machiavellico. Pensa che siano stati i populisti, diabolicamente, a convincerci che sicurezza e libertà siano valori opposti. Lui invece è convinto che si può volere la sicurezza ma anche la libertà, la crescita economica ma anche la giustizia sociale, l’Europa ma anche l’interesse nazionale. Il «ma anche», espressione tipica di Walter Veltroni, spiega perché proprio quest’ultimo abbia partecipato alla presentazione pubblica del libro, insieme con il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi monsignor Angelo Becciu e l’immortale Gianni Letta, alla presenza di D’Alema, Brunetta e dell’establishment al gran completo.

A questo punto qualcuno si chiederà quando comincio a parlarne bene, e allora aggiungo subito che quando davvero si occupa di sicurezza Minniti bisogna lasciarlo stare. Vedi la parte sulla riforma dei servizi segreti (pp. 109 ss.), costituzionalmente impeccabile: roba che l’attuale ministro degli Interni, fra un selfie e l’altro, se la sogna. Certo, poi la maggior parte del libro indugia sulle esperienze del Nostro, con una certa predilezione per i rapporti con la Libia: ma pure qui il lettore spassionato sarà costretto ad ammettere che Salvini non avrebbe fatto di meglio. O non vorremo cominciare a diffamare i campi libici, come quegli intellettualoidi radical chic che, diciamolo, sono i veri responsabili di tutti i flagelli mondiali?

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