Ci stiamo forse scoprendo un popolo razzista? A chi, o più propriamente a cosa, dobbiamo ascrivere il crescendo di azioni violente (spari ed intimidazioni) dirette verso i migranti che hanno portato Mattarella a parlare di “Far west”. Solo ieri, vicino a casa mia, Castelfranco Emilia, in due sparano con un’arma ad aria compressa a un pakistano e poi esultano. Basta un’occhiata per capire che non si tratta di una nuova ventata di odio, quanto dell’affiorare di una matrice antica che ora pare avere meno timore dei riflettori rispetto a tempo fa.

La giusta domanda da porci non è dunque se, ma da quanto tempo l’Italia convive con un’insofferenza diffusa nei confronti del diverso, non necessariamente migrante? E’ infatti difficile pensare che siano le parole di un ministro, ancorché gravi e incendiarie, a generare ex novo un sentimento di intolleranza verso chi chiede accoglienza, in una nazione che nel non lontano 1938 dava alle stampe una rivista come La difesa della razza. Dunque l’interrogativo chiave non è a causa di chi alcuni si autorizzano a mettere in scena questi agiti violenti, ma in nome di cosa? E perché proprio ora?

Era il dicembre 2011 quando Gianluca Casseri uccideva brutalmente due uomini nativi del Senegal, per poi si togliersi la vita braccato dalle forze dell’ordine. L’obiettivo di quell’uomo erano i “neri”, oggetto di odio, il migrante come entità, un altro da annientare falcidiando alcuni dei suoi appartenenti. Le reazioni favorevoli all’omicidio apparse sul sito estremista Stormfront, non furono dissimili da quelle riportate sui siti della galassia dei vari gruppi xenofobi ed estremisti che popolano la rete.

Piccoli mondi costituiti su base paranoica, cementati dall’odio, abitati da Golem dormienti in attesa dell’ordine di colpire. Saverio Ferrari, esperto in tema di nuove destre, scrisse: “Attenzione perché è pericolosissimo derubricare il gesto di Casseri a follia (…) se passa ancora in giudicato l’idea del gesto folle rischiamo di far cadere gli ultimi anticorpi alla deriva della destra xenofoba”. Casseri era sano di mente così come lo era Luca Traini, il quale, nel febbraio 2018, scelse (secondo me) di mettere in pratica una personale vendetta, scaricando un’arma da fuoco verso alcuni immigrati ai quali “dare un segnale”. L’odio che questi due autonominati difensori della cosiddetta “supremazia bianca” nutrivano verso il migrante, non è stato generato da alcun insegnamento, né infuso da una qualche cattivo pensatore.

Essi hanno invece scorto in un ordine simbolico condiviso l’autorizzazione a far fuoriuscire dal proprio animo sentimenti virulenti preesistenti, costretti a vivere in sordina per il timore della reprimenda sociale, o della galera. Essi corrispondono a una figura ben conosciuta dalla psicoanalisi, quella del perverso sadico, che sceglie di declinare la propria vita come soldato obbediente alle direttive dell’altro, senza volontà che non sia quella del sistema di valori verso il quale si pone come docile strumento. Individui di questo tipo sono capaci per questo di atrocità inaudite senza conoscere il senso di colpa perché, come un Golem evocato, le percepiscono come ordini da eseguire che giustificano e danno forma alla loro stessa esistenza. Si tratta nella maggior parte dei casi di anonimi cittadini, lividi detentori di verità assolute che esercitano la loro avversione nei confronti dello straniero attraverso l’adesione a gruppi di stampo razzista o adottando comportamenti improntati alla discriminazione nei piccoli gesti della quotidianità.

Ovviamente la quasi totalità di essi non porta alle estreme conseguenze i desiderata di morte ed eliminazione fisica, perché intimoriti dalla legge. Altri invece, più incuranti delle conseguenze legali di azioni di questo tipo, trattengono a lungo i loro istinti belluini perché mancanti di un elemento identificativo, un’insegna sociale entro la quale poter sdoganare i liquami che scorrono nei meandri del loro animo. Sono questi ultimi che oltrepassano la linea divisoria tra parola violenta e passaggio all’atto, quando si creano determinate condizioni socio – politiche, ponendosi come “martiri” o sodali di una causa al servizio della quale desiderano immolarsi .

Nessuno ordinò a Casseri e Traini di uscire per strada seminando morte. Come nessuno ha dato questo ordine ai tanti che in questi mesi sembrano dilettarsi nel tiro al bersaglio verso l’immigrato. Si tratta di un’autorizzazione autocefala che costoro si concedono, certi di agire in nome e per conto di una lex che va al di la della legge degli uomini, verso la quale mostrano disprezzo. Costoro interpretano le parole incendiare come ordini da eseguire, gli incitamenti violenti come prova dl fatto che l’odio che alberga nei loro animi altro non è che un mattone di un edificio più ampio nel quale essere finalmente accolti.

Quale è il rischio insito nell’uso spregiudicato delle parole incendiarie? Quello di svegliare mostri dormienti nelle nostre città. I quali, poi, non accettano di essere rimessi a dormire, come avvenne per il Golem, ma continuano nella loro opera distruttiva. Dunque i politici devono saper usare le parole con cautela. Ci sono diverse botti di benzina che non attendono altro che un cerino acceso.

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