È uscito di recente un bel libro edito da Arcana editrice dal titolo Lady Gaga. La seduzione del mostro pop. L’autore è Alessandro Alfieri, studioso di Estetica, docente all’Accademia delle belle arti di Roma. Quello di Alfieri è un lavoro serio su una delle principali popstar mondiali, che dimostra come la popular music fuori dai confini nazionali investa l’immaginario totale, visivo oltre che musicale. Leggerlo fa capire molte cose di quest’arte, che non è solo musica e parole, ma progettualità estetica che cura i minimi dettagli.

E, in questo senso, appare davvero avvilente il confronto con gli artisti pop nostrani. Qui da noi il genere è imbrigliato eternamente nell’icona melensa di piagnistei empatici e riconoscibili, veicolati da canali che sono in mano a pochissime persone. L’implicazione del mezzo di comunicazione con il personaggio e le canzoni in Italia è del tutto assente, e il giochino risulta ancora quello di imbastire le urla piagnucolanti o apodittiche di Pausini o Ferreri con intenzione finto-poetico o attraverso il facile coinvolgimento musicale. Però c’è un motivo più profondo che limita la popular music italiana di oggi: il provincialismo.

Prendiamo proprio Lady Gaga. L’obiettivo della sua arte è il fascino: il piacere inspiegabile che genera l’atto artistico. Ci dice Alfieri: «Lady Gaga è il risultato dello sviluppo estremo dell’osmosi di arte e mercato; si è costruita attraverso l’universo dell’arte, per autocelebrarsi come icona  pop, non per diventare artista in senso classico. In lei violenza, fede, morte, orrore, invalidità diventano tutti simulacri visuali, svuotati di senso e posti come elementi di attrazione seduttiva» (per chi volesse approfondire, qui Alfieri ne parla diffusamente). Il punto di riferimento è sempre l’immaginario; le costruzioni dei brani, delle coreografie, di tutte le canzoni e di tutti gli spettacoli riguardano il rapporto con questo immaginario: che è cultura popolare, storia di una comunità, usi, costumi, credenze, paure, vissuto collettivo. Il successo di Lady Gaga è un successo aggregante.

Il successo provinciale invece è sempre successo “contro qualcuno”. Quello di Laura Pausini è immancabilmente rancoroso. Non sto parlando della persona Laura Pausini – che non conosco – sto dicendo qualcosa di più e che personalmente non la riguarda, perché viene fuori dal suo carattere in funzione del suo voler essere un’artista. Umanamente, è lo stesso meccanismo delle comari del paesino di provincia. È emblematico un suo post di alcuni giorni fa – in occasione del suo concerto al Radio City Music Hall – in cui lanciava strali contro chi non aveva creduto in lei a inizio carriera.

Per questo, Laura Pausini ce l’avrà sempre con chi la critica, per quanto costruttiva questa critica possa essere: perché il movente primo della bramosia di successo risiede nella vendetta, non nel fascino.

Ma la stessa cosa succede, per esempio, con Vasco Rossi: guai a criticarlo, per quanto ci si sforzi di motivare le proprie opinioni. Guai a dire che non è il migliore di tutti, concetto che lui ribadisce con record “mondiali” come quello di Modena Park: qualcuno dovrebbe fargli capire che le popstar mondiali non hanno mai pensato di voler battere quel record, ecco perché il suo è un primato; primato che verrebbe spazzato via se una Lady Gaga ne avesse intenzione. Anche qui: provincialismo.

Spero che il libro di Alfieri possa aiutare a capire meglio che ci si deve concentrare sulla propria ricerca artistica, anziché sul proprio ombelico e i propri rancori.

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