di Andrea Taffi

Quello del Pd è uno psicodramma. E non si può fare finta di non vederlo solo perché del Pd, dalle elezioni dello scorso 4 marzo a oggi, si è parlato e riparlato. Non si può dire: “Se la vedano loro”, perché il Pd e la sinistra che rappresenta (per quanto annacquata possa essere) sono un pezzo importante della politica italiana. Ma soprattutto, secondo me, si deve parlare del Pd perché lo psicodramma che sta vivendo lo ha fatto diventare persino un partito simpatico, un po’ come certi personaggi ai quali ci si affeziona solo per le loro vicissitudini.

Sembrava che, dopo la formazione del governo giallo-verde, quelli del Pd dovessero solo rilassarsi e munirsi di popcorn, godendosi la proiezione del nuovo film governativo, che anche se destinato a durare poco, prometteva di essere divertente. Nelle intenzioni del Pd, la semplice, inerte composta visione di quel film avrebbe ridato vitalità e colore agli stinti ideali di sinistra. Poi si sono accorti che non era così, che non bastava starsene buoni in attesa delle disgrazie altrui.

Allora, hanno cominciato a muoversi scomposi sulle poltrone del loro cinema, poltrone che da comode si sono via via tramutate in scomode fino a diventare vere e proprie sedie da inquisizione. Renzi ha fatto sparire i popcorn, e con questo ha messo tutti i colleghi di partito in agitazione. E adesso non è più consentito stare fermi: lo chiedono il buon senso, gli intellettuali tutti, l’Italia di sinistra e la base Pd.

Ma visto che la metafora alimentare (quella dei popcorn) sembrava azzeccata e suggestiva, il Pd, pur gettando alle ortiche l’immobilità da post formazione del governo, ha deciso di mantenerla quella metafora, anche se ribaltata. E la nuova linea è diventata quella del non si mangia più. Ecco che Calenda subito rinuncia alle cene, e Giachetti annuncia lo sciopero della fame fino a che non ci sarà il congresso del Pd. Speriamo solo che, a congresso avvenuto, Renzi non metta nella nuova cucina del Pd un suo cuoco, oppure che (e forse sarebbe anche peggio) non porti via tutta la dispensa, lasciando il Pd senza cibo. In quel caso sì che ci sarebbe l’estinzione, ma non volontaria e funzionale a una rinascita, come auspicato da Calenda. No, in quel caso ci sarebbe l’estinzione e basta. E a quel punto non rimarrebbe che l’indigesto menù di Salvini.

Allora io dico a Giachetti: con tutto rispetto, deputato, mangi e si tenga in forma se vuole veramente riformare il suo partito, la sinistra e (forse) anche l’Italia.

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