Una giornata di noia a Fuorigrotta, a Napoli, e un gruppo di giovanissimi che al grido di “chi non salta è bianconero” scaraventa un anziano nel cassonetto.  Come d’obbligo, il video della “goliardata” finisce in rete, insieme ai filmati di altri ragazzi che nella metropolitana di Napoli molestano un altro anziano e una signora.

Una serata trascorsa con gli amici e, per finire in bellezza, insieme in auto a lanciare uova contro i passanti, prendendo di mira una ragazza di colore, che per questa “bravata” ha rischiato di non partecipare ai Campionati europei di atletica in rappresentanza dell’Italia. Due ragazzi di 14 anni che a Vicofaro, in provincia di Pistoia, ingannano il tempo sparando con una pistola scacciacani a un cittadino gambiano.  Come spiegheranno il gesto? “Era uno scherzo”.

Nell’arco di poche settimane, sono avvenuti numerosi episodi di cronaca in cui adolescenti o giovani adulti hanno aggredito persone più vulnerabili, ad esempio, perché anziani. Colpisce che i contesti di provenienza di questi ragazzi siano diversi e non necessariamente caratterizzati da disagio socio-economico, infrangendo un facile stereotipo. Anzi, nei casi di Vicofaro e Torino, sopra citati, le famiglie di provenienza degli autori sono di ceto medio e talune anche impegnate nel politico sociale. Eppure, alcuni elementi accomunano tutti questi episodi. Uno fra tutti, il fatto che i giovani protagonisti e gli adulti giustifichino l’accaduto, minimizzandone la portata. Si parla di goliardate o scherzi, anche quando il danno alla vittima è evidente.

Come sottolineato anche dal consigliere regionale Francesco Borrelli in un’intervista radiofonica, azioni come queste non sono goliardate ma violenze e il presentarle in modo più rassicurante, quasi innocente vista la giovane età dei protagonisti, in realtà risponde a un meccanismo psicologico ben noto a chi si occupa di bullismo: la tendenza a giustificare e autogiustificare un’azione che si sa sbagliata per sminuire la responsabilità individuale e non sentirsi in colpa per le violenze messe in atto.

È un meccanismo insidioso e pericoloso, detto di “disimpegno morale”, che non sempre assume la forma della minimizzazione nella descrizione degli eventi (parlare di scherzi invece che di aggressioni) ma spesso quella dell’attribuzione della colpa alla vittima: è la vittima che se l’è cercata. Dato ancor più preoccupante: la ricerca dimostra che questo modo di pensare si impara nel gruppo dei coetanei, ma anche dagli adulti.

Che gli adulti per primi in queste situazioni parlino spesso di giochi o goliardate offre modelli facilmente imitati dai ragazzi. Questi messaggi, poi, divengono ancora più gravi quando si coniugano con atteggiamenti di intolleranza verso gruppi specifici.

Soprattutto nel contesto attuale, diffondere messaggi che sminuiscono la serietà degli eventi di violenza messi in atto dai giovani può favorire un incremento di questi fenomeni, in particolare se a danno di persone più fragili o appartenenti a gruppi minoritari. Un esempio? Negli ultimi anni, gli studi indicano che nelle scuole italiane bambini e ragazzi portatori di disabilità o con origine migratoria sono più a rischio dei compagni di subire bullismo. E come già accennato, nel bullismo è frequente il disimpegno morale, ossia il presentare – a sè stessi e agli altri – le prepotenze come azioni di poco conto o di cui la vittima è in parte o in tutto responsabile.

Bisogna, quindi, recuperare il senso di quanto accade e di fronte a episodi come quelli dell’ultimo periodo, rinunciare a facili e rassicuranti spiegazioni avendo il coraggio di affermare che si tratta di violenze che configurano anche veri e propri reati. In questo modo si aiutano gli stessi autori delle presunte “goliardate”, che recuperano consapevolezza di quello che hanno fatto e da questa possono ripartire, oltre a contrastare il diffondersi di questi fenomeni.

A sostegno concreto di quanto detto, dopo le parole di Borrelli e la denuncia del mancato controllo negli episodi di Napoli, fatta da Maria Luisa Iavaronela mamma di Arturo, accoltellato nella stessa città da un gruppo di coetanei alcuni mesi fa – sono stati gli stessi ragazzi di Scampia ad aiutare le autorità a identificare gli autori delle molestie in metropolitana. Una bella lezione dai giovani stessi sull’importanza di dire le cose come stanno.

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