Anche sognare ad occhi aperti può diventare un mestiere. Eppure in pochi avrebbero scommesso un euro su quel ragazzone milanese, partito solo sei anni prima dalla periferia per realizzare quello che, fino al 2012, pareva poco più di una chimera: lavorare come art director per una grande agenzia internazionale, come sognava fin da ragazzino quando, dai banchi di scuola, amava collezionare campagne pubblicitarie – ritagliate ossessivamente da ogni rivista – invece delle solite figurine Panini. Per riuscirci però, dopo tanta gavetta e un’esperienza agrodolce a Manchester, dove per mantenersi gli studi arriva a lavorare persino come netturbino, Martino Monti (oggi 35 anni) decide – come tanti protagonisti delle storie raccontare in questa rubrica – di mollare tutto per accettare una proposta dalla Jun von Matt di Amburgo. Otto mesi di stage, a 500 euro che “in Germania, al di là dei luoghi comuni, bastano per sopravvivere”, prima della “sliding door” che a ottobre di quell’anno, questa volta in modo quasi definito, gli spalanca le porte del mercato internazionale. Oggi Martino abita a Düsseldorf dove lavora con un contratto a tempo indeterminato alla BBDO, una delle agenzie pubblicitarie più prestigiose al mondo (la sede principale è a New York). Il suo primo vero successo arriva con lo spot di Snickers, le tavolette di cioccolata prodotte da Mars: un breve e ironico storytelling con cui omaggia il mondo delle arti marziali. Poi lo scorso giugno, alla faccia di tutti i detrattori e di chi, durante gli anni della gavetta lo aveva bollato come fallito, si porta a casa due statuette al Festival della pubblicità di Cannes. Grazie alla campagna sociale Remember Me, dedicata ai malati di Alzheimer.

Ma per farlo, dicevamo, è costretto a lasciare Milano dove, cresciuto col mito di Armando Testa, per tanti anni si ritrova a campare con brevi contratti a 500 euro al mese. “La prima agenzia me ne dava 250 ogni tre e mi faceva sentire pure fortunato. Quando ho mollato il mio primo stage, perché lavorare dieci ore al giorno per pochi euro è dura, mi hanno detto che il mio stile era vecchio e in questo mondo non avrei mai combinato niente. Il premio lo dedico anche a loro. In Germania, dopo cinque anni, ho avuto già tre promozioni e uno stipendio che è il triplo rispetto a chi in Italia fa il mio stesso lavoro. Si dice poi che il costo della vita sia più alto: nulla di più falso”.

Certo il lavoro del creativo, di chi – partendo da un foglio bianco – sogna e crea gli spot che vedremo poi alla televisione o sui muri delle metropoli internazionali, è di quelli usuranti. “Sembrerà strano, ma a volte vorrei solo usare le mani e fare il cameriere. Il nostro è un mestiere molto concettuale e dopo tre mesi sopra una campagna, pensando ossessivamente alla sessa cosa dieci ore al giorno, hai bisogno di una vacanza”. Di sicuro, rispetto all’Italia, non mancano le gratificazioni. “Per un latino come me, con il mio carattere, non è facile vivere in un Paese come la Germania. Ma qui, anche se sembra il solito discorso da emigrato, c’è una meritocrazia che noi ci sogniamo. Vengono premiati i meriti, l’impegno, la dedizione e non soltanto le relazioni. Vivendo fuori ho tagliato professionalmente tutti i ponti con l’Italia e, nel caso volessi tornare, potrebbe essere un problema: senza contatti, senza amicizie non vai da nessuna parte a Milano. È brutto dirlo, perchè all’estero sono orgoglioso di essere italiano e tra noi ci aiutiamo molto, facciamo squadra. Il problema è l’italiano in Italia, che vive la competizione con l’unico obiettivo di fare le scarpe al vicino”.

“Il futuro? Mi piacerebbe girare un po’ per il mondo. Sono già stato a Singapore, in futuro chissà. Magari New York. Sa, noi creativi ci annoiamo facilmente, abbiamo bisogno di cambiare aria, di avere nuovi stimoli. In Italia vorrei tornare un giorno, magari dopo aver vinto un Leone d’Oro e un Grand Prix a Cannes. Sono convinto che sarebbe un bel lasciapassare”.

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