In Italia non scarseggiano gli ottimi compositori e compositrici. È giusto dedicare attenzione alla loro attività, affinché il pubblico dei non specialisti li conosca e li apprezzi. Ho ascoltato di recente un cd dal titolo Mistero e poesia, con musiche di Fabio Mengozzi (Stradivarius 2018, Str 37094). Astigiano, nato nel 1980, ha studiato pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Fra i suoi maestri, tra gli altri, anche Aldo Ciccolini e Azio Corghi; ma Mengozzi riconosce un debito profondo nei confronti dell’opera di Johann Sebastian Bach.

Il cd addita due temi: il mistero permea ogni cosa; la poesia può in certi casi penetrarlo. Vi sono raccolti 18 brani per pianoforte composti tra il 2011 e il 2017, eseguiti da Mengozzi stesso. Molti sono brevi o brevissimi (due minuti o poco più), i più ampi arrivano ai 9 minuti. Hanno titoli suggestivi. A un primo ascolto sembrano semplici: sono cantabili, prevalentemente diatonici, scevri di dissonanze crude; li si potrebbe ascrivere allo stile denominato minimalista. In realtà, ad ascoltarli con orecchio attento e analitico, si intravvedono forme definite e nessi non banali: emergono strutture bipartite, tripartite, ad arco, si percepiscono contrasti, diffrazioni, simmetrie enunciate e magari subito negate; il tutto in un continuo gioco di rimandi fra suoni, immagini, rapporti aritmetici.

Le composizioni non disdegnano suggestioni filosofiche: Artifex allude al Demiurgo di Platone, Ananke al fato inteso come legge di natura. Alla simbologia della luce accennano Faro notturno e Cometa nella notte. Mysterium è costruito sulla serie di Fibonacci; Sempiterna ruota – uno dei più interessanti – su una forma ad arco: lo si può leggere anche dalla fine al principio. Vi viene sonoramente raffigurato il ciclo eterno dell’esistenza, in un tempo rarefatto, sospeso. Sulla copertina del cd giganteggia l’immagine della Sfinge di Giza, che dà il nome al brano 14 (Mengozzi guarderà a Robert Schumann, alle Sphinxe del Carnaval?): la mitica creatura è una quintessenza dell’enigma, di un mondo spirituale indecifrato. Un mondo nel quale ci si può addentrare solo tacendo e ritornando all’interiorità: lo suggerisce inequivocabilmente l’ultimo brano, Anelito al silenzio.

Nel 2018 si festeggia il 150esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Thailandia. Per l’occasione, l’ambasciata d’Italia a Bangkok ha commissionato al fiorentino Arnaldo De Felice una composizione per grande orchestra sinfonica. Riflessi è stata eseguita il 9 e 10 febbraio nella capitale dalla Thailand Philarmonic Orchestra, direttore Alfonso Scarano. Il 29 maggio la partitura è stata donata dal nostro ambasciatore Francesco Saverio Niso al re di Thailandia, Vajiralongkorn (in questi giorni agli onori della cronaca non per motivi artistici, come riportato nell’articolo de La Stampa del 28 luglio, Escort e purghe: il principe diventato re imbarazza Bangkok). Un’altra copia della partitura è stata offerta al nostro presidente, Sergio Mattarella, che ne ha disposto la conservazione nel palazzo del Quirinale.

Vincitore di primi premi internazionali (2001 Opernhaus di Zurigo, 2005 Bayerische Staatsoper), De Felice privilegia la vocalità di conio italiano e le forme musicali strutturate: dichiara riferimenti estetici novecenteschi – fa i nomi di Gérard Grisey, Bruno Maderna, Giacinto Scelsi, Luciano Berio – ma anche classici, – Monteverdi, Bach, Scarlatti, Mozart, Schubert, Wagner. In Riflessi – concepito per celebrare l’amicizia di due Paesi così lontani – occorreva coniugare tratti riconoscibili della musica d’arte europea con altri della tradizione orientale. Già il titolo ha un valore simbolico. Un “riflesso”, dice il compositore, è la “percussione” di un raggio di luce sopra una superficie, una “porzione di verità che illumina il cammino”: illuminando può dunque spingere alla comprensione di aspetti altrimenti opachi.

Per comporre il suo pezzo De Felice si è dovuto accostare alla musica tradizionale thailandese, alle sonorità del pi nai – una sorta di oboe della tradizione thai – e agli ensembles di fiati del pi phat. Ma ha anche evocato la lettura del Ramakien, il poema epico nazionale, che ricalca il Ramayan indù. Nonostante il grande organico, la partitura è di un puntillismo essenziale, cristallino, tiene una condotta essenzialmente cameristica, intrecciando i ricami solistici di fiati e archi, con rari scoppi improvvisi di “fortissimo”.

I frequenti cambi di tempo fluidificano il discorso sonoro, che scorre senza interruzioni. Qualche didascalia suggerisce sinestesie visive: ad esempio, Calmando, quasi di colore viola. Ci sono anche rimandi alla natura boschiva, fonte d’ispirazione del compositore – Il bosco delle foglie incantate, la Danza delle foglie d’oro, d’argento e castane, con un’ampia cadenza del sassofono soprano –, e ad aspetti paesaggistici arcani – Il lago segreto e La cima della montagna divelta. Il brano di De Felice ha momenti di gran fascino, e ha lusingato gli amici thailandesi.

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