A largo di Skagen, sulla punta più a estrema della penisola di Danimarca, due acque di ghiaccio arrivano a toccarsi. Sono il mare del Baltico e quello del Nord. Opposte per correnti e diverse per densità e temperatura le loro onde si sfiorano senza confondersi mai, disegnando sulla superficie un bizzarro acquerello, dove una lingua di spuma bianca separa il blu di un abisso dal celeste dell’altro. Dai flussi del Norden alle pagine di un libro il passo non è certo dei più brevi, eppure gli stessi conflitti che si agitano lungo le coste dello Jutland possono essere rintracciati nell’inchiostro di Juve-Napoli. Romanzo popolare (Aliberti), dove ad accomunare e a dividere le confessioni epistolari di Darwin Pastorin – giornalista sportivo nato in Brasile ma trapiantato a Torino – e Vincenzo Imperatore – economista partenopeo innamorato della scrittura e della sua città – sono le passioni: il calcio, da una parte, e la squadra del cuore dall’altra.

Juventus contro Napoli, Napoli contro Juventus. Ancora una volta, in campo e fuori. Con Pastorin stregato dal bianconero della Vecchia Signora e Imperatore rapito dall’azzurro del Napoli. Mentre il dio del football se ne sta lì, a sorridere e ad arbitrare una sfida infinita, che si ripropone fra i capitoli di una vera e propria stagione sportivo-letteraria, con tanto di precampionato/prefazione e terzo tempo/postfazione. I due autori si affrontano infatti nel più classico dei “tornei all’italiana”, con temi doppi spalmati su un girone di Andata giocato attorno alla fede calcistica come esperienza collettiva e sociale e su un Ritorno in cui, invece, i match si fanno via via più intimi e personali. Proprio come quei mari del Nord che, abbandonata la battaglia alle onde, vanno miscelandosi a poco a poco dove le acque si fanno più profonde, ecco però emergere la memoria ad ammansire la superficie di un volume che pur non risparmia campanilismi e sberleffi. È infatti al ricordo che Romanzo popolare affida il compito di provare a spiegare come il tifo possa tenere per mano un bambino e accompagnarlo nella crescita, formandolo e nutrendolo senza lasciarlo neppure quando, da adulto, tutto sembra cambiato fuorché, appunto, la passione.

Seguendo le tracce di Eduardo Galeano e Osvaldo Soriano – cantori sudamericani di un calcio che è anzitutto narrazione epica e vitale – ecco dunque Vincenzo rammentare la sua prima volta allo stadio e quell’amichevole tra il Napoli di Antonio Juliano e il Santos di sua maestà Pelé. E poi ancora l’approdo di Diego Armando Maradona e l’abbraccio di un figlio al padre cieco e la mattina del 10 maggio 1987, giorno del primo scudetto azzurro, con la statua del Nettuno che pareva pronta a scendere in campo, indossando maglietta, pantaloncini e il tricolore ben in vista. Argomenti più che solidi, ripartenze ben condotte che sembrano far vacillare la causa juventina. Eppure, quando la zebra sembra spacciata, ecco il colpo di coda di Pastorin, che si riporta in parità estraendo dalle pieghe della memoria gli album Panini – a proposito, rilanciamo il suo appello: qualcuno conserva la figurina di Stacchini del Mantova? – e gli articoli di Vladimiro Caminiti su Tuttosport, ma anche l’incredulità per quella Coppa Campioni persa nell’’83 contro l’Amburgo di Felix Magath e un tema delle elementari, dove agli occhi di un bambino Pietro Anastasi sembrava l’uomo più importante del secolo.

Un divertimento tra ragazzini, insomma, entrambi innamorati di quella palla che rotolando sull’erba accarezza anche i sogni di chi resta a osservarla. Una scrittura genuina e schietta, che riflette le intenzioni di un libro che potrebbe essere scambiato per un dialogo tra amici davanti a un caffè. Un testo che si fa più originale e avvincente laddove il tifo trascende il mero evento sportivo per mescolarsi alla vita e collezionare aneddoti. Se non può che sfuggire un sorriso quando Vincenzo racconta dello stadio San Paolo e di quel lucernario che manometteva per poter sbirciare la palestra del Napoli, spiando il riscaldamento dei proprio beniamini come Noodles con Deborah nella celebre sequenza di C’era una volta in America, tuttavia, è un’altra la sensazione che ci afferra alla gola quando leggiamo le parole che Darwin – nel capitolo dedicato a Le storie diventate leggenda – riserva a Gaetano Scirea e a quell’assurdo incidente di Babsk. Una triste domenica che nessun tifoso potrà mai dimenticare.

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