Sono stati condannati in primo grado Giulio e Francesca Maria Occhionero. I due, fratello e sorella, sono stati ritenuti colpevoli dal giudice di primo grado di accesso abusivo a sistema informatico. Secondo la procura di Roma, si erano resi protagonisti di un’attività di spionaggio su vasta scala ai danni di siti istituzionali e politici. Giulio Occhionero è stato condannato a 5 anni, mentre alla sorella è stata inflitta una pena di 4 anniPer aver carpito oltre 3,5 milioni di mail e spiato circa 6mila persone, i pm avevano chiesto rispettivamente 9 e a 7 anni di reclusione.

L’accusa, rappresentata dal pm Eugenio Albamonte, sosteneva che l’attività di cyberspionaggio era stata portata avanti dal 2001 e “ha puntato a carpire dati sensibili di istituzionipartiti politici e industrie”. Albamonte aveva spiegato che gli Occhionero hanno creato negli anni “una vera e propria rete telematica che puntava ad infettare circa 18mila pc in modo da carpire dati sensibili all’insaputa del proprietario del computer”. In totale, secondo l’accusa, sono 1935 i personal computer dei quali Occhionero aveva anche le password, e quindi il pieno controllo. Tra i pc presi di mira anche quelli della Camera e del Senato, del ministero degli Esteri e della Giustizia, del Pd oltre che di Finmeccanica Bankitalia. Per i pm, i fratelli avrebbero tentato di violare anche le mail dell’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, del presidente della Bce Mario Draghi e dell’ex premier Mario Monti.

In sostanza, secondo l’accusa, all’ingegnere nucleare Giulio Occhionero spetta la “responsabilità di avere concepito, pianificato e alimentato dal 2001 un sistema per l’acquisizione” di un numero enorme di dati. L’ingegnere Occhionero avrebbe cioè creato una rete ‘botnet’ con la quale, grazie all’utilizzo di un virus che entrava nei computer da colpire attraverso un messaggio email, è riuscito ad immagazzinare su alcuni server negli Stati Uniti dati, password e messaggi.

L’inchiesta sugli episodi di hackeraggio compiuti dagli Occhionero non ha mai completamente chiarito, con quali fini i due fratelli carpissero dati: venne ipotizzato che volessero fornire informazioni su appalti, o investire in borsa, o forse accumulare una serie di dati sensibili legati alla sfera personale di personalità che un giorno avrebbero utilizzato in altro modo. Nel corso del dibattimento, la difesa degli imputati aveva chiesto ad Albamonte di astenersi dal processo, alla luce di un’indagine che era stata avviata a Perugia dopo un esposto presentato dagli Occhionero su presunti illeciti compiuti dagli inquirenti nel corso dell’attività di indagine. La sollecitazione era stata però respinta dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che riconfermò Albamonte come rappresentante dell’accusa in giudizio.

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