Fermare le vendite della ‘cannabis light‘. A chiederlo è il Consiglio superiore di Sanità (Css), perché “non può esserne esclusa la pericolosità“. Il parere è stato comunicato su richiesta del ministero della Salute e riguarda la marijuana legale, cioè quei “prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa” (con livelli di Thc inferiori allo 0,2 per cento) in vendita nei ‘canapa shop‘ diffusi in tutta Italia.

Secondo il Css, devono essere attivate “nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti“. Una presa di posizione durissima che rischia ora di danneggiare il mercato in pieno boom dei canapa shop, dopo che nel maggio scorso una circolare pubblicata dal Ministero delle politiche agricole aveva dato il via libera alla coltivazione (solo se la pianta ha un tasso di thc inferiore allo 0,2 per cento). Da quanto si apprende, il ministero della Salute è già stato informato di questo parere e ha chiesto anche l’opinione dell’Avvocatura dello Stato. Sul caso è intervenuto anche l’attuale titolare del dicastero, la pentastellata Giulia Grillo: “Seguo con grande attenzione la questione della commercializzazione della cosiddetta ‘cannabis light’. Il precedente ministro della Salute il 19 febbraio scorso ha chiesto un parere interno al Consiglio superiore di sanità sulla eventuale pericolosità per la salute di questa sostanza. Non appena riceverò le indicazioni dell’Avvocatura – conclude – assumerò le decisioni necessarie, d’intesa con gli altri ministri”.

A esprimere la propria disapprovazione per il parere espresso dal Css è l’Associazione Luca Coscioni: “È disallineato all’evoluzione dello scenario internazionale attualmente in corso”, sostiene l’associazione, ricordando la recentissima legalizzazione della marijuana da parte del Canada e “l’epocale annuncio dell’Organizzazione mondiale della salute circa l’avvio, per la prima volta nella storia, di una revisione delle proprietà terapeutiche della cannabis con probabile declassificazione della sua pericolosità nelle tabelle internazionali. Sfidiamo il Css – aggiunge l’associazione – a portare avanti studi propri, se ne è capace, invece che raccogliere ‘dati in letteratura’ che sono spesso datati e frutto di impostazioni ideologiche se non antiscientifiche“, conclude Marco Perduca dell’Associazione Coscioni.

I rischi per la salute, spiega il Css, riguardano proprio il principio attivo dei cannabinoidi: “La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili”.

Un altro problema è il fatto che non è stato valutato “il rischio al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali ad esempio età, presenza di patologie concomitanti, stati di gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, così da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come ‘sicura’ e ‘priva di effetti collaterali’ si traduca in un danno per se stessi o per altri”.

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