Fare un bel censimento dei rom serve a “tutelare prima di tutto migliaia di bambini”. Bloccare i migranti, certo, ma per “garantire una vita serena a questi ragazzi in Africa e ai nostri figli in Italia”. Ridiscutere l’obbligo vaccinale per “restituire ai genitori la libertà di cura dei figli”. Fare il ministro, insomma, per fare “quello che serve ai miei figli e ai figli degli italiani”.

Frastornato da giorni di retorica martellante, lancio un appello a Matteo Salvini: ministro, mi faccia un piacere, la smetta di tirare in ballo i “nostri figli”, i “figli degli italiani” e i “bambini”.

Intendiamoci, non mi sognerei mai di toglierle il lavoro, in questi tempi difficili. Continui pure a spargere per il Paese i semi della xenofobia su cui ha fondato il suo messaggio e la sua carriera politica, tenendo il rosario in una mano e il Vangelo nell’altra. Continui a mettere gli ultimi (gli italiani che si arrabattano per campare) contro gli ultimissimi (i migranti) e a trasformare in voti la bile (sua e quella dei suoi elettori) puntando i rom, minoranze varie e famiglie arcobaleno. Tanto chiederle di smettere di utilizzare il linguaggio della destra più estrema e di diventare davvero un uomo delle istituzioni in grado di rappresentare tutti gli italiani è fiato sprecato.

Ma una cosa smetta di farla, ministro, per pietà: lasci stare i bambini. Lo faccia per i suoi figli, in primis, per evitare di trasformarli in uno strumento ogni volta che apre bocca. Lo dico per lei, perché il rischio sa qual è? Quello di superare il capolavoro di ipocrisia firmato da Giorgia Meloni, che annunciò di essere incinta sul palco del Family Day. Quello, a mia memoria, fu un record: un bimbo utilizzato a fini politici coram populo e in diretta tv prima ancora di venire al mondo.

E magari già che c’è imponga, Salvini, una moratoria anche ai suoi più fidati collaboratori. Come a Massimo Garavaglia, che qualche sera fa a Porta a Porta giustificava il blocco dell’Aquarius con il fatto che “ho due figlie di 16 e 18 anni, abito fuori Milano e non mi fido a mandarle in giro la sera”. Collegando ancora la questione dell’immigrazione con un vettore a senso unico a quella della sicurezza, assioma della destra benedetto dall’uomo “di sinistra” Marco Minniti in occasione della tentata strage di immigrati compiuta da un neofascista a Macerata.

Ci pensi, ministro, davvero. Perché ogni volta che lei pronuncia la parola “bambini” a me vengono in mente le immagini di uno qualsiasi dei 1.995 bambini separati dai genitori dalle autorità degli Stati Uniti al confine con il Messico grazie alle belle politiche del suo amico Donald Trump: immagini come quella della bambina sudamericana chiusa in una gabbia, fotografata mentre cambia il pannolino al fratellino più piccolo o il pianto della piccola che invoca il papà perché la venga a prendere. E mi vengono in mente anche i bambini che vengono intercettati sui barconi dalla cosiddetta “Guardia costiera libica” per conto dell’Italia e riportati in Libia in violazione delle leggi italiane e del diritto internazionale.

Non sono un politico, quindi lo strato di pelo che ho sullo stomaco non è minimamente paragonabile in quanto a spessore a quello che ricopre il suo. Dal mio pulpito di ingenuità, considero i bambini un argomento troppo delicato – persino la parola è troppo preziosa – perché lo si usi a fini politici per creare identificazione con l’elettorato. Lo considero immorale.

Mi faceva ribrezzo anche quando Matteo Renzi lo faceva per argomentare qualcosa in cui anch’io credo, ovvero la necessità di mantenere in vita l’Unione Europea. E lo considero ancora più dannoso se lo scopo è quello di diffondere messaggi d’odio. “Non insegnate ai bambini / la vostra morale”, cantava Giorgio Gaber. Non utilizzateli, ministro Salvini, neanche per farne la foglia di fico con cui giustificate tutto ciò che dite o che fate.

@marco_pasciuti

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