L’energia distruttiva di un conflitto quando divampa è senza limiti. In due ore il presidente della Repubblica, venerato e mite garante della democrazia rappresentativa, si trasfigura in attentatore della Costituzione. E chi domattina avrebbe dovuto essere il ministro dell’Interno, garante dell’ordine pubblico, ministro della polizia per intenderci, è in piazza a chiamare il popolo all’assalto del Palazzo. Che Matteo Salvini fosse sospettato di utilizzare il nome di Paolo Savona come grimaldello per liberarsi della camicia di forza di un governo che ha promesso tanto, forse troppo, e giungere prima possibile a raccogliere il massimo dei profitti da una nuova chiamata alle urne, era noto. Che Sergio Mattarella abbia gestito questi primi 84 giorni di interminabile crisi senza sorvegliare bene i suoi passi, trovandosi lui in un imbuto dal quale non è potuto uscire che con l’apposizione di un veto squisitamente politico sul nome del ministro dell’Economia sembra un dato sconfortante ma reale. Il problema è che se il presidente della Repubblica finisce in un imbuto, con lui ci finisce tutta l’Italia.

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