Gli uomini ci spiegano le cose. Le spiegano agli uomini e anche alle donne, ma raramente avviene il contrario. Perlomeno non sulle pagine dei quotidiani Corriere della Sera e Repubblica. Silvia Truzzi ha scritto sull’iniziativa di Michela Murgia di tenere una sorta di contabilità sugli editoriali a tema politico firmati da uomini e donne sulle pagine del Corriere della Sera e di Repubblica. La conclusione è avvilente perché nella totalità dei casi, i commenti politici son firmati da uomini.

Il problema non riguarda naturalmente solo i due quotidiani italiani considerati a torto o a ragione più autorevoli (o sono considerati più autorevoli perché sono percepiti come roccaforti maschili?). La competenza è ancora considerata una qualità prevalentemente maschile? Da una buona fetta di società sì, se le donne sui media, e non solo, sono indotte a parlare o a scrivere (e quindi ad occuparsi) di “cose da donne” legate al cosiddetto “privato”: il lavoro di cura, gli affetti, la famiglia, le relazioni ecc e tenute alla larga da temi che hanno valenza “universale”. Monica Lanfranco (anche lei blogger su questo sito), con la quale ho scambiato qualche battuta sul tema ieri sera, mi diceva che lo sguardo maschile ingloba il mondo femminile e lo silenzia. Così quando il tema diventa “universale” la palla passa agli uomini, come se le donne non fossero parte della polis e restassero relegate simbolicamente in virtuali ginecei. La distinzione naturalmente è fittizia ed è costruita su gerarchie simboliche.

Non è un caso neppure che una banale questione legata all’applicazione di una regola grammaticale come la concordanza tra genere e nome, si sia trasformata in una polemica esacerbata con reazioni rabbiose nei confronti di chi sostiene sia importante nominare il femminile. Il tema dibattuto accesamente sui social ha coinvolto giornalisti e non.

Scrivere: ministra, avvocata, sindaca, ingegnera e architetta quando il ruolo è assunto da una donna ad alcuni pare blasfemia. E non è un caso nemmeno che le resistenze si manifestino solo quando si tratta di declinare al femminile, gli incarichi o le professioni di potere e prestigio ritenuti di appannaggio maschile. Anche i saperi sono potere e come tale si riconoscono con fatica alle donne anche quando sono esperte e competenti.

La scrittrice statunitense Rebecca Solnit ha scritto a questo proposito Gli uomini mi spiegano le cose – riflessioni sulla sopraffazione maschile sull’arte maschile di silenziare le donne. Come? Interrompendole quando parlano durante una conversazione (e ciò può avvenire privatamente oppure nell’agorà dei media) per sminuire le loro competenze ed esperienze ed ha fatto una interessante collegamento tra il diritto di prendere la parola e la credibilità delle donne qualora testimonino di aver subito violenze. Se non hai diritto di parlare non puoi essere credibile.

Pierre Bourdieu, il filosofo francese scomparso nel 2002, scriveva ne Il dominio maschile (che i direttori dei quotidiani Repubblica e Corriere, Mario Calabresi e Luciano Fontana dovrebbero leggere e se lo hanno letto facciano un ripasso quest’estate) che “non è esagerato paragonare la mascolinità ad una forma di nobiltà. Le stesse attività possono essere nobili e difficili quando sono realizzate da uomini, insignificanti e impercettibili, facili e futili quando sono esercitate da donne ovvero che qualunque mestiere finisce per essere qualificato per il solo fatto di essere svolto da un uomo”.

La psicologa Chiara Volpato in Psicosociologia del maschilismo (i direttori di Repubblica e Corriere dovrebbero leggersi pure questo testo) spiega come l’ideologia sessista incide sulle valutazioni delle competenze, delle abilità e delle prestazioni femminili nel mondo del lavoro, corroborando il vecchio adagio femminista secondo il quale, per ottenere un incarico o una promozione, le donne devono essere due volte più brave degli uomini”.

 

Volpato spiega che quando donne e uomini lavorano insieme il contributo femminile viene svalutato rispetto a quello maschile dato che le donne sono ritenute meno competenti, influenti e autorevoli. L’assenza di editoriali firmati da donne sul Corriere della Sera e su Repubblica è lo specchio di quella sottocultura sessista dove la violenza fisica, psicologica e simbolica si accompagna a forme più sottili di prevaricazione e sopraffazione come il gap nelle retribuzioni di lavoro, il tetto di cristallo che blocca l’accesso delle donne ai ruoli apicali e a tutte le diverse forme che possono assumere le disparità tra i generi.

Il giornalismo italiano non è immune dal gap di genere come è stato spiegato il 14 marzo scorso durate il seminario Cronache del dissenso. Media molestie sessuali e disparità . Ebbene tra la dura realtà delle disparità e la rappresentazione delle stesse c’è un mutuo soccorso. Gli editoriali politici firmati solo da uomini e le donne innominate, silenziate o relegate a ragionare di cose da donne o affini: il potere maschile si difende anche così.

@nadiesdaa

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