Dura Vermeer, una delle due imprese in corsa per l’appalto per la costruzione del Vivaldi Building, futura sede definitiva dell’Agenzia europea del farmaco Ema, è rimasta da sola; l’altra società Züblin, parte del colosso Strabag non è più in corsa dal 3 febbraio. Lo scrive il Parool, quotidiano di Amsterdam. Il motivo? Tempi troppo stretti e regole troppo rigide imposte dal committente, il governo olandese, che per evitare figuracce – dopo aver scomodato persino l’obamiano Yes we can – deve assolutamente consegnare la sede dell’agenzia della discordia entro novembre 2019, costi quel che costi. Anche multare il costruttore, se necessario. E su questo punto scrive ancora il quotidiano di Amsterdam, Züblin Nederland ha optato per la ritirata.

E qui la questione tecnica diventa politica: il Rijksvastgoedbedrijf, l’ente che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico olandese, avrebbe infatti comunicato al ministero della Salute della defezione già il 3 febbraio. Eppure il ministro Hugo de Jonge si è guardato bene dall’informare della faccenda tanto l’Ema quanto la delegazione del Parlamento europeo che lo scorso 23 febbraio si è recata ad Amsterdam per ispezionare lo stato dei lavori.

Con il quotidiano olandese, il Rijksvastgoedbedrijf ha tagliato corto: non riferiamo ogni singolo passaggio della trattativa. D’altronde ciò che conta è che rispettiamo la scadenza, ha concluso. Ma la questione potrebbe non essere cosi semplice: la rigida normativa europea sugli appalti non consente in questa fase di aprire il bando ad altri concorrenti e d’altronde una gara solitaria della società Dura Vermeer, rischia di mettere lo Stato olandese in una posizione molto scomoda. Quali margini di trattative potrebbe avere in una competizione senza concorrenti? Il timore, scrive ancora il Parool, è che il costo lieviti oltre ogni aspettativa ragionevole, cioè oltre i 200/300 milioni preventivati. E da parte sua il Rijksvastgoedbedrijf fa già sapere che non pagheranno “qualunque cifra”. Si apre cosi una nuova crepa nell’edificio che non c’è e la vittoria olandese alla monetina, già funestata dal sospetto di brogli: da colpo del secolo, rischia di diventare una grana difficile da gestire per l’ambizioso premier Mark Rutte.

D’altronde per un Paese che sbandiera correttezza ed etica calvinista come virtù portanti del sui agire politico, la vicenda Ema rischia di diventare un clamoroso boomerang: dall’offerta secretata dalla Commissione europea, proprio su richiesta di un eurofunzionario olandese, fino all’opacità del sorteggio, dove Milano contesta la non applicazione della procedura, il sospetto che gli olandesi abbiano giocato due partite, quella pubblica e una dietro le quinte si fa sempre più concreto. E per chiudere il cerchio, il 18 febbraio è arrivato il colpo di scena dalla Corte di Giustizia Ue: la valutazione della richiesta di sospensiva presentata dall’Italia, verrà esamintata da Marc van der Woude, vicepresidente della Corte ma soprattutto cittadino olandese.

In Olanda la vicenda Ema non ha suscitato clamori, né tanto meno le accuse di aver barato, giunte dall’Italia, hanno provocato particolari reazioni: per tutti la partita per l’agenzia del farmaco giocata a novembre, è già preistoria e la discussione non riguarda tanto il “se” quanto piuttosto il come; per concedere agli italiani l’onore delle armi, il ministro De Jong si è limitato a sostenere in Parlamento che le chance di accoglimento del ricorso di Milano sono molto scarse. Media e politici, insomma, hanno fiducia nell’abilità della “lobby dei polders”nell’Ue.

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