“Cosa preferisce? Pasta? Verdura? Latte?”.
“Io mangio tutto, Pia. Tutto quello che è commestibile io lo mangio”.

Il colloquio fra Pia, una pensionata sui 70 anni, e Luca, un giovanotto sui 40, apre una distribuzione di viveri al Corvetto, uno dei quartieri di frontiera di Milano. In coda, per una borsa settimanale di cibo, disoccupati, madri di famiglia, invalidi, senza differenze di età, di sesso o di etnia. Qui non vale lo slogan neofascista “prima-gli-italiani”, ma quello paleocristiano “prima-gli-affamati”.

“Vengo qui da quasi due anni – dice Luca – ho una situazione economica disastrosa. Lavoravo per una onlus, dove facevo fundrising per ragazzi disabili e, due anni fa, mi hanno lasciato a casa. L’ultima volta che ho fatto domanda di lavoro, in un ristorante di S. Donato, mi hanno risposto che cercano giovani. Che sono troppo grande”.

Dice “grande” per non dire “‘vecchio”, perché nel paese “che-guida-l’Europa-fuori-dalla crisi”, come diceva Renzi, a 40 anni sei già da ‘rottamare’.

“Viene molta gente di mezza età che non ha lavoro o che lo trova solo attraverso le cooperative, che fanno il bello e il cattivo tempo – racconta Pia – Chiudono e riaprono con un’altra ragione sociale. La malattia non ce l’hai. Se lavori bene, se no, sono affari tuoi”.

Michela, anche lei in coda, ha 35 anni e forse riesce a tirare avanti solo per i figli. Insieme al marito, marocchino, gestiva un bar, ma hanno dovuto chiudere perché non ce la facevano con le spese e lei campa facendo pulizie. Perso il lavoro, il marito ha iniziato a fumare e a dare in escandescenze. Un giorno le ha dato una spinta in pubblico, davanti alla scuola, e così è finito in galera. Michela l’ha perdonato, ma spera che il carcere serva a farlo riflettere e soprattutto ad allontanarlo da un giro di connazionali borderline.

“Stravede per i figli – dice – Quando uscirà, non lo riprenderò subito in casa, ma magari più avanti sì. Vengo qui perché ho sempre pagato le bollette ma con l’ultima non ce l’ho fatta e allora ho dovuto vincere la vergogna”.

“Più che vergogna è rabbia – aggiunge una donna sui 45 anni che faceva pulizie per una cooperativa – perché non è possibile ritrovarsi in queste condizioni. Specie per mio marito. Ha lavorato tutta la vita e per un uomo è terribile non poter provvedere alla famiglia“. Le chiedo che cosa ha dovuto negare a suo figlio. Risponde: “Beh il gelato, quando usciamo. Prima, quando lavoravamo, due volte all’anno andavamo al cinema”.

Alle sue spalle mani febbrili riempiono borse di cibo raccolto dal Banco Alimentare e distribuito dalla San Vincenzo, un gesto ci carità che oggi offre un formidabile termometro per misurare il livello di povertà prodotto da quella crisi che è iniziata con la destra al governo e non è ancora finita adesso che sta per tornarci.

“La San Vincenzo di Milano compie 160 anni – spiega Silvana Tondi, che presiede il consiglio centrale – è un’associazione laica ed è nata nelle fabbriche, come la Falk, la Lepetit, la Pirelli, con lo scopo di aiutare gli operai. Ogni socio è tenuto a dare un contributo personale. All’inizio acquistavamo e portavamo generi alimentari alle famiglie, oppure andavamo a lavare le persone anziane o a far da mangiare. Oggi è più difficile, perché molti assistiti sono stranieri e la maggior parte non ti fa entrare in casa. C’è una barriera. Le donne musulmane spesso non parlano e se gli dici ‘hai lo sfratto, non puoi pensare di mettere al mondo un quarto figlio’, ti rispondono: ‘Questa è la nostra religione!’. Beh, anche la mia religione dice che i bambini sono un dono ma ci vuole un po’ di responsabilità!”.

“Ricuciamo le nostre vite” è lo slogan di una sartoria, creata dal nulla in periferia, a Limito di Pioltello, che si chiama “Il filo colorato di S.Vincenzo” e ha offerto a tre persone la possibilità di ricucire gli strappi che la perdita del lavoro aveva aperto nelle loro esistenze. “Una amico ci ha dato un laboratorio in comodato d’uso – racconta Loredana Vargiu – e un’azienda di moda che si trasferiva, ci ha regalato una montagna di tessuti, così, nel 2016, abbiamo costituito la cooperativa. Distribuire pacchi è importante ma ancora più importante è ridare dignità alle persone permettendogli di lavorare”.

In un paese in cui le disuguaglianze stanno risvegliando gli anni 30 e il fascismo, il pensiero del fondatore della S. Vincenzo, Frédéric Ozanam, appare più attuale che mai, come emerge da un libro di Giorgio Bernardelli intitolato Storia di Ozanam. L’uomo che non aveva paura della crisi. “Se è lo scontro fra l’opulenza e la povertà che fa tremare il suolo sotto i nostri passi – scriveva Ozanam nel 1836 – il nostro dovere di cristiani è di interporci fra questi nemici irriconciliabili e di fare in modo che gli uni si spoglino come per l’adempimento di una legge e che gli altri ricevano come un beneficio… che la carità faccia ciò che la giustizia da sola non saprebbe fare“. A volte la “banalità del bene” messa in pratica dalle volontarie della San Vincenzo riserva sorprese amare.

Il bisogno è estremo e a volte non è facile – racconta Pia sempre al Corvetto – un giorno ho avuto problemi con uno a cui ho negato il pacco, perché non ne aveva diritto e mi ha insultato pesantemente. Mi ha rovesciato il tavolo addosso. Nel quartiere ci sono molte persone con problemi mentali. Se dici un ‘no’ nel momento sbagliato può succedere di tutto”.

L’amarezza più grande però, secondo Pia e le altre volontarie, è venuta dalla tv che del quartiere mostra sempre e solo i lati peggiori, al punto che il 13 marzo 2017 hanno scritto una lettera di protesta (che non ha mai avuto risposta) alla direttrice di SkyTG24 e al direttore di SKY Italia a seguito della trasmissione ‘Cronache di frontiera’: “Le persone che hanno realizzato il programma non hanno reso un buon servizio perché hanno presentato il quartiere Corvetto come peggio non si poteva […] E’ scandaloso che, dopo ore di riprese, avete scelto di presentare l’intervista a due sole persone, una di queste a volto coperto, che hanno espresso opinioni non corrette sul nostro operato tanto che molti nostri assistiti si sono indignati e resi disponibili ad una raccolta firme di protesta nei vostri confronti”.

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