Sono troppo giovane per essere stata comunista quando il comunismo, nella Prima repubblica, stava all’opposizione ma dettava un immaginario di emancipazione dalla povertà e di uguaglianza per chi credeva nei suoi ideali. Sono abbastanza vecchia invece per aver votato per la prima volta esattamente all’avvento della Seconda repubblica – nel 1994 avevo 19 anni – quando l’intero sistema politico precedente si frantumò e al potere arrivò un uomo di plastica che convinse il popolo italiano a votare per lui grazie ai suoi spot televisivi e alla sua retorica del self made man, raccontata persino su un giornaletto inviato a milioni di italiani (conservo ancora quella rivista, testimonianza di qualcosa di incredibile accaduto davvero).

L’unica cosa positiva di quegli anni fu che, grazie anche alla legge elettorale, si creò un sistema bipolare, più fisiologico di una dc sempre al governo con stampelle varie o brevi alternanze. Dall’altra parte c’era un centrosinistra che seppe in qualche modo creare una unione politica coerente, nonostante tutto, e che grazie all’Ulivo capeggiato da Prodi vinse nel 1996 e poi ancora, dopo due governi “tecnici” e un altro governo Berlusconi, ancora nel 2006. Dopo la seconda caduta di Prodi la parabola del centrosinistra è stata inarrestabile. Il Partito Democratico, quello che avrebbe dovuto rappresentare tutte le forze progressiste italiane, nasce nel 2007 già morto, ideologicamente annacquato, con una classe politica forte solo di sconfitte e di individualismi suicidi. Non c’è voluto molto al giovane Matteo Renzi per scalare quello che restava di un partito mai nato, appunto, usando la retorica della rottamazione – azzeccatissima in quel momento – per prendersi in mano una forza politica senza praticamente alcuna resistenza, anzi scatenando una corsa mai vista, persino dei “vecchi”, a salire sul carro del vincitore.

Quello che è successo dopo è storia nota. Tale era la voglia di governo che Renzi ottiene l’incarico a premier senza neanche essere votato. Si accorda con partiti con i quali mai Prodi si sarebbe accordato, trasforma il Pd in una creatura ideologicamente ambigua, senza alcuna identità non tanto di sinistra ma neanche almeno progressista in senso forte. Abolisce un diritto fondamentale dei lavoratori, rende il lavoro ancora più precario. Crea un immaginario di plastica anche lui, fatto di promesse non mantenute. La sinistra muore, mentre chi cercava radicalità volta le spalle al Pd verso il Movimento Cinque Stelle. Sconvolgente è che in quest’ansia populista di accattivarsi il voto di tutti, destra, sinistra, uguale, Renzi non si accorge nemmeno di aver distrutto l’elettorato progressista della prima repubblica, oggi lacerato, frantumato. Il Pd perde il suo popolo, se mai ce n’è mai stato uno. E oggi questo popolo democratico, che chiede misure radicali per contrastare l’impoverimento del Paese, la fuga dei giovani, la corruzione continua, un futuro che si preannuncia disperato tra generazioni senza pensione e demografia impazzita, va alle urne smembrato, diviso. Cinque Stelle, Liberi Uguali, Potere al Popolo, ma forse, per molti, persino Lega, ancora più probabilmente astensionismo.

Questo è il bilancio degli anni dei vari D’Alema e Veltroni prima e dei Renzi oggi, senza soluzione di continuità. La distruzione di un elettorato. Oggi i partiti “progressisti” a parole si presentano al voto tutti divisi, una scelta insensata, perché che senso ha fare una campagna elettorale sapendo che nessuno avrà voti sufficienti per governare? Nessuno, se non la speranza neanche tanto segreta di fare l’ennesimo governo tecnico, l’ennesimo inciucio. Ripeto: come si può fare campagna elettorale infatti senza avere alcuna chance di vincere? È ridicolo, grottesco. Ma loro vanno avanti, divisi come non mai, con una legge elettorale assurda che hanno voluto, sperando appunto di presentarsi poi al Presidente della Repubblica sotto il segno della “responsabilità“. Quale responsabilità mia chiedo? Quella di aver lacerato il paese? Quella di aver perso intere generazioni che mai più li voteranno? Questa, per me, si chiama irresponsabilità, anzi colpa. E pure gravissima.

 

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