La nuova “via della seta” potrebbe addirittura erodere il confine tra due continenti, riportando l’umana percezione al dato geografico: non esistono Asia ed Europa bensì esiste l’Eurasia.

di Mattia Molteni

Di tutti i mezzi di trasporto, la ferrovia è il più sottostimato. Parte del paesaggio da oltre cento anni, la ferrovia ormai non cattura più l’attenzione di un tempo, e i treni, specie se merci, non ottengono la stessa considerazione rispetto ad altri mezzi di trasporto: non hanno la velocità degli aerei, la portata delle navi, l’indipendenza tipica dei mezzi su gomma.

Il trasporto ferroviario trae la sua efficacia dall’essere un buon compromesso tra le caratteristiche degli altri tipi di vettore: è il più ecologico, ha capacità e velocità superiori rispetto ai veicoli gommati, surclassa le possibilità di carico degli aerei e, rispetto alle navi si dimostra più rapido anche se con minor capacità. Questa polivalenza era ben nota anche in passato e ha svolto un ruolo fondamentale per entrambe le potenze protagoniste della scena internazionale dal secondo dopoguerra: Usa e Unione Sovietica.

Oggi un’altra potenza, la Cina, torna a scommettere sul “cavallo di ferro” e sul suo potere unificatore, e tenta di rilanciare in chiave moderna la storica e leggendaria “via della seta”. L’ambizioso progetto è già in corso d’opera e i primi treni transcontinentali hanno iniziato a congiungere gli stati europei a quello che fu il celeste impero.

Se l’evoluzione seguirà le premesse, Europa e Asia incrementeranno i legami commerciali e con tutta probabilità cambieranno anche il modo di percepirsi reciprocamente, favorendo le contaminazioni culturali e un più ampio accostamento tra civiltà diverse.

Pare incredibile, ma se la ferrovia produrrà gli stessi effetti già sperimentati in passato, potrebbe addirittura erodere il confine tra i due continenti, riportando l’umana percezione al dato geografico: non esistono Asia ed Europa bensì esiste l’Eurasia. In quella che sicuramente è una prospettiva di lungo termine cambierebbero schemi noti e consolidati da secoli: gli europei guarderebbero a est e non più a ovest, ciò che era barriera diverrebbe punto di transito e viceversa.

Per secoli, dipendendo dal trasporto navale e ostacolati a est dagli ottomani, gli europei hanno coltivato l’idea di “buscar el levante por el poniente” finendo col relazionarsi soprattutto con la sponda opposta dell’Atlantico; oggi con un’efficace rete di comunicazione transcontinentale le cose potrebbe cambiare.

Certamente gli ostacoli non mancano: la distanza fisica esiste, le differenze culturali restano marcate, così come non sembra destinata a scomparire la frammentazione politica dell’area euro-asiatica.

Il quadrante centro-asiatico è sempre stato percepito, tanto dagli europei quanti dai cinesi, come un’area vasta e inospitale, poco conosciuta e abitata da popolazioni sovente ostili. Le cronache e i diari di viaggio medievali e moderni hanno sempre messo in guardia dalle infinite distese della Mongolia e del Kazakistan; i cinesi hanno costruito la Grande Muraglia anche per difendersi dai pericoli provenienti da quei misteriosi luoghi e i russi hanno sempre avversato le popolazioni nomadiche che ivi conducevano la propria esistenza.

In tempi più recenti l’Urss costruì in quest’area il suo principale cosmodromo proprio per questo suo configurarsi come buco nero nella geopolitica del continente asiatico, che assicurava ampia sicurezza da ingerenze esterne. Ebbene, questa situazione sembra destinata a mutare. I Paesi che fanno parte dell’area centro-asiatica sono sempre più interessati e partecipi delle dinamiche globali, disponibili a configurarsi come punto di transito solido e sicuro per ogni eventuale rotta commerciale terrestre che dovesse congiungere Asia ed Europa.

Un confine rigido permane tra l’area ex sovietica e l’area Nato. Non un retaggio della vecchia cortina di ferro, non un conflitto ideologico tra due opposte visioni del mondo, ma una barriera costruita in solido acciaio. La stessa barriera che vanificò il blitzkrieg nazista e che, seppure poco visibile, esiste tutt’ora. Stiamo parlando dello scartamento ferroviario, ossia la distanza che intercorre tra le rotaie del binario, che in tutta l’area ex sovietica è di 1520/1524 mm, mentre in Cina ed Europa è di 1435 mm – scartamento “Stephenson”.

Questa differenza, che impedisce ai treni pensati per lo scartamento russo di percorrere le ferrovie a scartamento standard e viceversa, è da sempre voluta e mantenuta dai russi proprio per rallentare /ostacolare le invasioni poiché costringe a trasferire i materiali su treni adatti al sistema ferroviario russo oppure a smontarli e a collocarli su appositi carri “adattatori”.

Qualora la nuova “via della seta” riuscisse a uniformare lo scartamento lungo il suo lungo percorso non solo i tempi di viaggio si contrarrebbero, ma si rafforzerebbe anche la percezione di trovarsi in un “continuum territoriale”, con la conseguenza, già accennata, di spingere l’Europa tra le braccia della Cina. Ovviamente si tratta di processi pluridecennali ma l’orizzonte temporale in cui opera lo statista o il politico asiatico è, generalmente, notevolmente più ampio rispetto a quanto, normalmente, un occidentale considera ragionevole. Non necessariamente un simile cambiamento è negativo e, tantomeno, avverrà con certezza ma, come europei, sarebbe opportuno averne coscienza.

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